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Istruzione: Italia al venticinquesimo posto

learningUn rapporto collaborativo tra insegnanti, studenti e famiglia; un sistema trasparente (che consente cioè di valutare obiettivi raggiunti e punti critici); che premia più l’impegno degli studenti e meno la «dotazione» di partenza (le capacità cognitive, per esempio); una società che dà alla scuola un valore elevato. È il mix magico per il sistema educativo perfetto. Quella combinazione di elementi che mette Corea del Sud, Giappone, Singapore, Hong Kong e Finlandia davanti al resto del mondo. Confermando, peraltro, un trend in atto da diversi anni. E che, da diversi anni, ci vede schiacciati in posizioni medio-basse, in tutti i ranking internazionali.

I dati dell’ultimo rapporto sull’educazione a livello globale, realizzato da The Economist Intelligence Unit e pubblicato da Pearson - il secondo dopo il debutto del 2012 - mettono infatti l’Italia al 25esimo posto (dal 24esimo della scorsa edizione, su un totale di 40: quelli per cui esistono dati comparabili), dopo Germania (12esima), Stati Uniti (14esimi) e Francia (in sorpasso); e prima di Austria, Portogallo, Spagna (29esima). «Una posizione simile a quella dello scorso anno, anzi un po’ peggiorata - commenta Roberto Gulli, presidente di Pearson Italia -. Che riflette innanzitutto una carente cultura della trasparenza e della responsabilità della scuola».

I dati

La superclassifica «The learning curve» mette in relazione i dati più autorevoli e globali prodotti negli ultimi anni - dai risultati dei test OCSE-Pisa ai TIMSS, ai PIAAC - e una sessantina di diversi parametri: investimenti governativi, stipendi del personale docente, rapporto alunni-professori, senza tralasciare indicatori economici come il tasso di occupazione dei diplomati/laureati, il reddito percepito e il benessere generale di ogni Paese. In vetta, i Paesi asiatici, ma anche la Finlandia (passata dal primo al quinto posto), con sistemi educativi diversissimi tra loro, ma anche diversi punti in comune: a partire da una classe docente di alto livello e dalla forte centralità attribuita all’educazione, sia a livello politico che sociale. Prova ne sono non solo gli investimenti governativi (12% in Finlandia e 15% in Sud Corea del totale di spesa pubblica), ma anche l’equità con cui si accede alla formazione (in Finlandia l’Università è gratuita) o lo status sociale dei docenti.

Bassi in classifica

L’Italia va più male che bene: scivola verso il fondo (la Francia che alla precedente analisi risultava una posizione dietro, ci ha superati di due) perché - tanto per citare due mali riconosciuti del nostro sistema - investe meno di tutti in istruzione e ha un’alta percentuale di laureati disoccupati. È in media con gli altri Paesi quanto ad anni trascorsi nel sistema scolastico (fino ai 16 anni) e per stipendi degli insegnanti (in linea con quelli medi del paese). Ci favorisce il rapporto medio di alunni per docente nella scuola secondaria: 12, come in Francia e un po’ meno della Germania (13), di Corea e Regno Unito (16). Quanto a numero di laureati, siamo sullo stesso livello di Germania e Spagna (31% contro 29%), ma ben al di sotto del Regno Unito (50%). Tra i punti di forza del sistema italiano, l’ampia possibilità di scelta, per gli studenti, a qualsiasi livello formativo.

L’impegno delle famiglie

«Ma ci sono campi nei quali bisogna migliorare - spiega Gulli - a partire dallo “student engagement”: l’impegno dei ragazzi, il supporto delle famiglie». Non basta la competenza degli insegnanti, occorre che i genitori si informino, partecipino, pretendano di più, in uno spirito collaborativo, che agevoli il lavoro che si fa in classe, anziché contrapporsi. «Le prestazioni migliori si ottengono dove la formazione è considerata un valore prioritario nella crescita dei ragazzi». L’aspettativa che l’impegno venga premiato motiva parte del successo dei paesi asiatici: Corea del Sud, Giappone, Singapore e Hong Kong hanno in comune il «senso di responsabilità» che lega saldamente, lungo tutto il percorso educativo, insegnanti, alunni e genitori. Più attenzione ai risultati si traduce in più partecipazione e più ore sui libri. Assenze e ritardi - lo si è visto nelle ultime rilevazioni Pisa - correlano con le prestazioni peggiori (e quanto a lezioni saltate, peggio di noi fanno solo Argentina, Giordania e Turchia, ndr); mentre la capacità di focalizzare sugli obiettivi e di entusiasmarsi per i compiti assegnati portano per esempio - dicono le statistiche - a punteggi più alti in matematica.

Più formazione

«Non bisogna fermarsi alla sola analisi quantitativa - avverte però Gulli -. E vanno privilegiati obiettivi coerenti e di sistema: gli esiti positivi derivano da decisioni di lungo respiro, non certo da continui cambi di governi e strategie». E poi c’è il capitolo della formazione dei docenti, più importante ancora dei livelli retributivi - dice Gulli. «È vero che c’è una questione di prestigio sociale, come c’è una questione di strutture, che devono essere decenti, anche per comunicare ai ragazzi che la società intera è interessata e coinvolta nei processi educativi. Ma prima ancora bisogna formare, valorizzare e mettere i professori nelle condizione di operare al meglio: buoni docenti sono essenziali per un’educazione di alto livello, e bisogna trattarli come validi professionisti».

Competenze del XXI secolo

Una parte del report è focalizzata sul rapporto tra competenze di base (matematica, lettura e scienze) e le cosiddette «competenze chiave del XXI secolo» (alcune già testate nei Pisa, per esempio il problem solving; altre, come il collaborative learning, verranno introdotte nei Pisa 2015): importanti non per se stesse, ma correlate alle competenze tradizionali. In altre parole, senza una solida formazione di base si rivela difficile, e anche poco utile, possedere capacità di problem solving, di interagire socialmente o di lavorare in maniera collaborativa.

Imparare da adulti

Un ulteriore approfondimento è dedicato al mantenimento degli skills in età adulta. Il panorama è articolato: la Corea del Sud ottiene prestazioni migliori di tutti gli altri Paesi nei test PISA, TIMMS e PIRLS; tuttavia, superati i 20 anni d’età, le abilità della popolazione, secondo i risultati PIAAC (l’indagine approfondita dell’OCSE sulle competenze degli adulti) scende drasticamente. E qui sembra emergere il «rovescio della medaglia» dei sistemi asiatici: un sistema scolastico nozionistico e competitivo, basato sul raggiungimento e la valutazione di obiettivi rigidi, sembrerebbe non assicurare la capacità di mantenere le competenze acquisite. Risultati eccellenti, invece, per i paesi scandinavi. In generale però emerge che sia quasi impossibile un’educazione in età adulta che non poggi su una solida formazione di base.

Migliorare si può

La posta in gioco è altissima. Presentando il nuovo rapporto, Michael Barber (consulente per l’educazione di Pearson e prima ancora di Tony Blair) ha ricordato che metà della crescita economica nelle nazioni sviluppate, negli ultimi dieci anni, è imputabile al miglioramento delle conoscenze e delle competenze della forza lavoro. Il miglioramento è possibile, come dimostrano Germania e Tunisia. O la Polonia, che entra quest’anno nella top ten, passando dalla 14esima alla decima posizione; Israele, da numero 29 a 17. Ma più del denaro investito è fondamentale la considerazione di cui gode la scuola nella comunità.

Fonte: Corriere.it, 8 maggio 2014