- Categoria: Insicurezza, timidezza, paure
- Scritto da Monika Runggaldier
Timidezza in un Paese straniero
Mi chiamo Carla, sono mamma di una bambina di 6 anni.
Da un paio di mesi ci siamo trasferiti in un paese straniero di cui la bambina non conosce la lingua. In Italia frequentava la scuola materna e si era inserita bene.
Il cambiamento è stato brusco ma la voglia di riunire la famiglia (siamo qui per il lavoro di mio marito) e di stare tutti e tre assieme l'ha aiutata ad accettarlo.
n questa situazione è molto difficile trovare degli amichetti con cui comunicare, frequenta una prescuola inglese ma i tempi di apprendimento purtroppo sono quelli che sono, e anche se gioca con gli altri due bambini suoi coetanei, non riesce a parlare. Il loro rapporto si limita a un linguaggio soprattutto gestuale e imitativo.
In Italia, ricordo che parlava in continuazione con la sua amichetta del cuore e con i cuginetti e insieme inventavano giochi e situazioni.
Credo che questo le manchi anche se, cara, non si lamenta troppo. Io e suo padre passiamo molto tempo con lei, io non lavoro e il sabato e la domenica organizziamo sempre qualcosa che possa interessarla (zoo, parco, acquario, picnic ecc.), molto più di quanto non accadesse in Italia. Probabilmente sente molto la nostra presenza in questa situazione e questo l'aiuta. Io però ho il timore che non sia abbastanza, da un lato il nostro timore di farla soffrire (e di ritagliarci qualche momento di pausa dall'intrattenimento full-time, lo confesso) ci porta ad assecondarla (viziarla?) un po' troppo, dall'altro l'impossibilità di misurarsi con altre chiacchierine come lei la priva di esperienze e scontri che credo siano necessari per crescere.
Per quanto è possibile, cerco di favorire il più possibile l'incontro con altri. Ogni giorno (o quasi) la porto al parco giochi dove ci sono molti bambini. Lei gioca soprattutto da sola, ma se c'è qualche bambino più ben disposto, gioca anche questi, si rincorrono sullo scivolo, intorno alle altalene.. insomma comunicano. Ho provato a portarla a una scuola di danza, la vedo spesso ballare per proprio conto, quindi so che è una cosa che le piace. Risultato: un disastro. Si vede che muore dalla voglia di provare, ma l'idea di confrontarsi con le altre bambine, l'atterrisce. Questa timidezza paralizzante l'ha sperimentata anche quando è andata per la prima (e penultima volta) in piscina.
Questo era accaduto in Italia, non nel paese dove risiediamo, ma nel paese dei miei genitori (dove mi ero temporaneamente trasferita in assenza di mio marito). La prima volta è entrata in acqua, si è divertita abbastanza, ma si vedeva che era sulle spine. La seconda non ha voluto assolutamente saperne. Ora non vorrei che la cosa si ripetesse con la danza. La sua timidezza che, io credo, derivi dalla paura di non essere all'altezza, le impedisce di imparare a praticare qualsiasi sport, per quanto possa piacerle. Cosa posso fare per aiutarla? Forse la cosa migliore sarebbe iniziare a praticare qualche sport insieme ad un'amichetta, ma questa situazione è irrealizzabile qui. Non so se è esatto definire la bambina timida, in realtà fa solo fatica a rompere il ghiaccio, perché poi, quando si è rilassata diventa molto popolare. Gli altri bambini la cercano e la tengono in gran conto. Quando è da sola, gioca molto, fa parlare i pupazzi assegnandogli voci e ruoli (questa cosa la fa da quando era piccolissima, le bastava avere due fili di lana in mano e intesseva trame di amori e innamoramenti per ore intere), insomma è una bambina ricca di fantasia e creatività, ma che si blocca quando deve misurarsi con gli altri.
Vorrei qualche consiglio sui comportamenti da adottare (o da evitare) per aiutarla a non sentirsi "sotto esame" quando deve affrontare delle nuove esperienze.
Spero di non aver fatto solo una gran confusione e di essere riuscita a far passare qualche cosa in questo (troppo) lungo messaggio.
Vi ringrazio.
Cara signora Carla,
non è una coincidenza che chi Le scrive non è né di "madre"-lingua né di "padre"-lingua italiana!
Ho cominciato ad apprendere la lingua italiana, non senza difficoltà iniziali, proprio all'età di sua figlia, a 6 anni! Innanzitutto credo che si tratti di una GRANDE FORTUNA, sia per perché siamo sempre più cittadini europei, sia per il fatto che la padronanza precoce di più lingue contribuisce all'aumento di intelligenza cognitiva (a causa dell'aumento di attività sinaptica nel cervello), e a una maggiore consapevolezza della sintassi, delle strutture grammaticali, delle metafore. Questa premessa non sembri indice di insensibilità di fronte a tante difficoltà che la Sua piccola e, ipotizzo anche Lei (!), sicuramente vivete trovandovi in un paese "straniero". Cerco di spiegarLe perché ho voluto cominciare la lettera in QUESTO MODO e perché ho intenzionalmente voluto omettere, almeno all'inizio, il riferimento ad altri contenuti della Sua lettera, per esempio le situazioni di INIZIALE (!) IMPOTENZA derivanti da un insufficiente padroneggiamento della lingua o derivanti dalle diverse paure di non "essere all'altezza.": È' FONDAMENTALE CHE LEI FACCIA PASSARE ALLA SUA BAMBINA IL MESSAGGIO VERBALE MA SOPRATTUTTO QUELLO NON-VERBALE (I BAMBINI HANNO UNO SQUISITO INTUITO PER LE CONVINZIONI "SEGRETE" DEI LORO GENITORI!) DELLE SUE CONVINZIONI INTIME, IN MERITO ALL'IMPORTANZA dell'apprendimento di una nuova lingua e della curiosità serena di conoscere nuove persone, abitudini, culture quotidiane.
La Sua bambina sembra essere una persona discreta, cioè non una che si butta "con la testa in avanti" in nuove situazioni. Poter osservare e percepire, anche "sotto la pelle", la tranquillità, la curiosità e il coraggio sereni della madre di fronte a nuove realtà (lingua, costumi, alimenti, piante, case, ecc. ecc.) rappresenterebbe per la bambina la sicuramente un utile esistenza di un "polo tranquillo e sereno". Per le piccole persone molto discrete come Sua figlia, è senz'altro utile avere un MODELLO di genitore complementare, se non da IMITARE, almeno da PERCEPIRE. Ho usato due volte l'aggettivo discreto in riferimento alla piccola, omettendo anche in questo caso intenzionalmente attribuzioni e concetti come "non sentirsi all'altezza", "sentirsi sotto esame", "sentirsi spaventata", "paralizzata", "paurosa", "timida". Provi a vedere la piccola da un altro punto di vista e cerchi di trasmetterglielo ("sotto la pelle").
La bambina non dovrebbe avere, ma HA una madre orgogliosa di lei e del suo carattere "discreto" e NON una mamma ansiosa per quanto riguarda la sua timidezza o paura. Il dizionario Garzanti alla voce "DISCRETO" scrive: prudente, non importuno, riguardoso. Dopo un'attenta e ripetuta lettura della Sua lettera che ci ha mandato non riesco a non associare la piccola piuttosto a una persona discreta che non a una persona paurosa, utilizzando perciò questo aggettivo decisamente simpatico in riferimento alla piccola. E poi, non dimentichiamo del resto, che L'EMOZIONE-PAURA E/O TIMIDEZZA è comunque un'emozione utile e necessaria per preservarci da certe esperienze spiacevoli.
Un'esperienza in un certo senso "spiacevole" potrebbe essere per la bambina ad esempio anche il fatto di dover confrontarsi con la delusione derivante dalla ancora non completa acquisizione di alcune competenze (lingua, danza, nuoto ecc.), specialmente in riferimento al confronto con chi queste competenze le ha già maggiormente acquisite.
Un possibile consiglio potrebbe essere quello di mettere la bambina anche in relazione con un altro/un'altra "child" o altri "children" (mi permetto qualche parola in inglese, visto che Vi trovate in questa realtà linguistica) che padroneggi/padroneggino certe abilità in minor misura di Sua figlia. Lei scrive che è irrealizzabile farle praticare qualche sport insieme ad un'amichetta. Non so né quanto tempo rimarrete nel paese straniero né so se abitate in un piccolo paese o in una città, ma penso che col tempo si possano profilare delle possibilità al riguardo, forse anche all'interno delle conoscenze che potrete fare nella prescuola inglese.
Le varie attività che non necessitano prioritariamente del linguaggio strettamente linguistico sarebbero un'ottima occasione per permettere alla bambina di esprimersi anche in presenza di un (ancora!) insufficiente padroneggiamento della lingua inglese e di entrare in relazione con altri bambini.
Ho potuto constatare con piacere che Lei comunque fa già moltissimo per non isolare la bambina, portandola ad esempio al parco giochi. Quando andate allo zoo, all'acquario o al picnic, non avete mai pensato di invitare un altro/un'altra "child" (per esempio della prescuola o del parco giochi)? Potrebbe essere anche questa un'ottima occasione per la piccola, e in più con "l'effetto collaterale" auspicabile di acquisire qualche vocabolo straniero in più. La bambina potrebbe sperimentare la sensazione di essere LEI COLEI CHE INVITA e gestisce l'invito, non sentendosi in questo modo solo e sempre OSPITE: di un paese straniero, di una prescuola straniera ecc. Se la bambina fosse (ancora) troppo timida per formulare in prima persone un tale invito, supplite Voi genitori per lei. In questo senso anche Lei come genitore e anche qualora non conoscesse che poche parole della lingua in questione, potrebbe ad esempio molto semplicemente "relazionare" con altri adulti (magari con figli), ad esempio bevendo un "five o'clock tea" insieme.
Mi sembra importante trovare dei momenti o delle occasioni per PROPORSI COME PROPOSITORI. La bambina, sempre di riflesso, potrebbe trarne vantaggi, soprattutto in riferimento al suo carattere discreto e all'autostima da rafforzare. Analogamente alle possibili gite domenicali da fare insieme dicasi per eventuali inviti a casa vostra: importante è che la bambina si possa percepire nel ruolo di prima persona ovvero di "colei che invita" e sentirsi conoscitrice ed esperta del proprio "territorio". Sicuramente ha TANTO da dare ad altri/e bambini, vista anche la sua squisita creatività e fantasia e capacità (ricchezza mimica e gestuale) non verbale.
E' normalissimo che bambini che parlano diverse lingue possono entrare in relazione solo in questo modo. L'acquisizione linguistica verbale è solamente una conseguenza. Tanto è vero che negli insegnamenti delle lingue straniere in bambini si punta inizialmente proprio sulle modalità di comunicazione NON VERBALE. Questo non è un paradosso, ma condizione necessaria per una successiva e graduale padronanza linguistica.
Se le attuali lacune dal punto di vista linguistico (inglese) Le possono far temere che la bambina venga privata da opportunità delle quali in Italia potrebbe invece godere, non sottovaluti però al contempo le grandi opportunità dall'altra. Non solo per quanto riguarda l'apprendimento di un'altra lingua, ma anche e soprattutto per quanto riguarda la Competenza Comunicativa Non Verbale, la cui padronanza è auspicata dai programmi scolastici di tutta l'Europa.
Le abilità non strettamente linguistiche, ai fini di uno sviluppo globale della persona, sono sempre più valorizzate e elevate allo status di "competenze doc" nelle diverse realtà educative; perché le conoscenze linguistiche sono insufficienti se non si integrano con quelle non linguistiche, ovvero con quell'universo chiamato "competenza individuale - competenza sociale- competenza relazionale".
La Sua bambina ha delle occasioni, proprio perché si trova in un paese straniero e non sa ancora la lingua, di affinare tantissime capacità che un domani sicuramente si dimostreranno di immensa utilità. Se da una parte la bambina possa venir "privata" (ma io non userei questo verbo "drammatico") dalla possibilità di raccontarsi in lingua italiana alle sue amichette, come faceva in Italia, è però altresì vero che la bambina può raccontarsi in altre "lingue", comprese quelle non verbali e ugualmente necessarie per "imparare la vita" (fatta non solo di vocaboli e registri linguistici).
A proposito della lingua italiana e dell'amichetta del cuore rimasta in Italia: la bambina ha l'occasione di telefonarle ogni tanto? Questo potrebbe avere un senso nei termini di continuità affettiva, però se e solo se questo attaccamento non precluderebbe la voglia di nuovi contatti.
In definitiva per avviare nuove relazioni a volte bisogna "rompere il ghiaccio". La paura e la timidezza di fronte alla necessità di rompere il ghiaccio è più che comprensibile, specialmente se non si sa cosa c'è sotto il ghiaccio. Non dimentiche che le emozioni di paura e timidezza hanno dunque la piena ragion d'essere.
Per rafforzare comunque l'autostima della piccola, ho cercato di darLe alcuni suggerimenti, qualora volesse ri-contattarmi non esiti a farlo!
Cordiali saluti.
copyright © Educare.it - Anno I, Numero 5, Aprile 2001