- Categoria: Aggressività ed autoaggressività
- Scritto da Ombretta Pinciroli
Aggressività a tre anni
Insegno alla scuola dell'infanzia e spero di trovare una possibile soluzione con un aiuto da parte vostra.
Lo scorso anno, con i bambini di tre anni, è arrivato Dario, un bambino che presentava dei problemi di aggressività che permangono sino ad oggi: morde e picchia i compagni senza essere provocato, presenta un'iperattività a volte ingestibile.
La sua famiglia è praticamente composta solo dalla mamma, in quanto il padre non vive con loro e le visite sono sporadiche. Sebbene abbia più volte spiegato alla madre che ho bisogno di fermezza anche da parte sua, noto che questa non ha la minima autorità sul bambino bensì è succube. Gli accordi presi alla fine dello scorso anno scolastico, prevedevano di assumere un atteggiamento duro con Dario, nel momento in cui picchiava o iniziava ad assumere atteggiamenti di iperattività: avevo consigliato alla mamma di riprenderlo con voce ferma, punirlo spiegandogli il motivo con parole semplici ... Purtroppo sono state parole vane: Dario è gestibile solo in sezione con me ma, nei momenti comunitari in salone o in sala da pranzo è un pericolo per gli altri bambini.
Quale può essere il modo migliore per fronteggiare la situazione? Concludo che con il padre non c'è aiuto.
Gentile insegnante,
in questi giorni ho pensato e ripensato alla sua richiesta e al tipo di risposta da inviarle. Spesso mi sono ripetuta che le informazioni da lei offerte non mi erano sufficienti per offrire un consiglio che non fosse già stato dato o sperimentato, che mi sarebbe piaciuto avere informazioni su diversi aspetti, e porgerle delle domande, e attenderne le risposte. Il ripetermi in continuazione ciò mi ha spinto a riflettere sul fatto che, forse proprio provando a partire dall’impostazione che ha dato alla sua richiesta, si sarebbero potute comunque aprire delle occasioni di riflessione
In definitiva mi sono detta : "Cosa posso dire e consigliare a partire dagli elementi che emergono dalla lettera e dalla sua impostazione?", "Quali caratteristiche può avere il mio consiglio? Esplorativo? Esplicativo? Operativo?"
Quali possibilità può aprire l’incontro tra la "parzialità" della richiesta e la "parzialità" della mia risposta?
Così le offro la mia parzialità, la mia interpretazione, comunque il mio sforzo e la mia fatica di voler condividere con lei un momento dell’esperienza educativa che la presenza del piccolo Dario ha offerto e offre.
Nel leggere la sua richiesta non ho potuto fare a meno di ricordare situazioni analoghe a quella da lei portata segnalate da educatori o insegnanti provenienti da servizi, anche, diversi dal suo. Analoghe per i problemi di gestione che i minori sollevano e analoghe per il diverso approccio relazionale offerto da una parte dagli educatori e dall’altro dai genitori.
Spesso quest’ultimo punto, questa differenza è vista come un ostacolo, una mancata convergenza di proposta relazionale sinonimo di fallimento educativo.
Il fatto è che le professioni educative sono nate anche per integrare una proposta relazionale esclusiva della famiglia e con il difficile e faticoso compito di trattare e gestire l’integrazione. Fatica alla quale non ci si può sottrarre.
Mi sembra di cogliere da parte sua una certa amarezza nel aver riscontrato che la mamma del vostro piccolo se sembra aderire verbalmente alle vostre proposte di intervento poi si rivela incapace di attuarle. Un’amarezza che ha il sapore dell’inevitabilità dello stallo. Una mamma succube e quindi una mamma che dipende totalmente dal proprio figlio, che soggiace completamente al suo volere, soprattutto se molto piccolo, è una mamma che potrebbe avere paura di lanciarsi in un’esperienza relazionale di contenimento del bambino, un’esperienza in cui teme di non sopportare la percezione della sofferenza dello stesso, da una parte, e dall’altra forse non è convinta che le manifestazioni di aggressività del bambino siano estinguibili con l’utilizzo della punizione (parola che, se non è declinata nei significati che le si attribuiscono e nelle azioni che la sostanziano, evoca spesso disagi, paure, sensi di colpa, effetti contrari alle aspettative).
Partendo da queste considerazioni e riflettendo sul fatto che essere genitori ed essere educatori comporta il ritrovarsi in una complementarietà che spinge alla specificazione reciproca, porgendo diversità capaci di trascinare ad una ricerca di scenari possibili di interazione, una domanda importante che vorrei porgerle è la seguente: quale spazio avete dato all’elaborazione di quest’esperienza? Individualmente, in équipe, con la mamma, col bambino?
Avete condiviso un’esperienza di un anno di intenti educativi con lo scopo di estinguere un comportamento del bambino. Quale significato avete attribuito al confronto non solo sui risultati ottenuti o sull’esecuzione degli accordi presi ma anche sul come si è sentita la mamma nel dover mantenere atteggiamenti duri, sulle ipotesi che essa ha fatto di intervento, sulla sua percezione della relazione che vive col bambino, con la sua incapacità di mantenere fede agli accordi, sulle vostre interpretazioni, sul come avete deciso di trattare la relazione con la mamma, sulla percezione del bambino rispetto al "problema" e agli interventi ?
La mamma forse può essere aiutata a trovare una sua modalità di trattare i comportamenti del bambino, modalità che non necessariamente deve coincidere con quella stabilita dalla scuola.
Non dimentichiamo che i ruoli sono diversi e diversi sono i contesti e la natura dei contesti. Non dimentichiamo che se non siamo davanti ad una situazione patologica, cosa che credo abbiate già verificato e escluso, il fatto che il bambino sperimenti modalità diverse con qualcuno, come la scuola, che lo aiuti a comprendere tali diversità è un’esperienza importante di crescita relazionale.
Detto questo quali altri possibili interventi? Sempre che non li abbiate già sperimentati. Ecco alcune idee sparse:
- Mettete mano ai vostri quaderni "Delle Osservazioni e degli interventi" che credo avete compilato nei diversi periodi e in cui avete riportato le osservazioni qualitative e quantitative sui comportamenti del bambino e le interazioni con/dell’ambiente.
- Cercate di capire quali interventi avete messo in atto con il fanciullo, quali combinazioni di interventi, quali modalità, chi li ha portati avanti, quali difficoltà avete incontrato, come ha risposto il bimbo, le frequenze dei comportamenti e i cambiamenti riscontrati di qualsiasi tipo. Cercate dei nessi causali e le informazioni che vi permettano di intuire quali altre letture si possono fare della situazione, e quali altre strade percorrere.
- Nel caso non abbiate mai registrato nulla, e se anche lo avete fatto, dotatevi di un "Diario giornaliero delle osservazioni e degli interventi" con delle voci specifiche e agile da compilarsi da parte di tutte le insegnanti. Cosa ha fatto il bimbo, chi ha aggredito, in quali situazioni, come hanno reagito gli altri bimbi, come hanno reagito le insegnanti, come ha gestito le diverse reazioni il bimbo, quali giochi preferisce, con chi e come socializza, quale proposta relazionale offre/chiede alle maestre, come si relaziona e via individuando. Utilizzatelo per il tempo necessario ad "oggettivare" le osservazioni e per monitorare gli interventi e i cambiamenti. Cosa importante è la costanza nella compilazione
- Chiedete anche alla mamma di compilare, per un periodo limitato, un suo diario giornaliero da voi e lei predisposto. Con essa interpretate le situazioni, ascoltate le sue riflessioni, ascoltate le impressioni derivatele dall’utilizzare tale strumento.
- Rielaborate il concetto di punizione e i significati attribuiti. Innanzi tutto cercate di capire qual è il rapporto che il bambino ha costruito con la punizione. In senso generale e specifico. Ci "pensa" qualche volta? In quali situazioni? Qual è la punizione che preferisce? (Non dimentichiamo l’importanza dei paradossi). Fategli esibire nei giochi "di ruolo" la sua visione della relazione con l’adulto nei momenti di rimprovero e non solo. Se l’intervento preminente è stato quello punitivo potrebbe essere successo che si sia "assuefatto" a questo tipo di comportamento non riuscendo da solo a trovare una valida alternativa ai comportamenti da estinguere. Potrebbe aver bisogno di una "ristrutturazione del suo campo cognitivo", di un aiuto ad intuire dove volgere le sue energie, i suoi disagi, le sue rabbie, i suoi desideri di richiamare la relazione e l’attenzione.
- Sfruttate il fatto che siete "all’inizio" di un nuovo anno scolastico verbalizzategli che il nuovo porta novità e quest’inizio porterà una gran novità. Il suo cambiamento stimolato dal vostro. Sperimentate un cambiamento nel vostro rapporto con lui. Un cambiamento rilevante sarebbe ad esempio quello di prestargli un surplus di attenzione, magari, distanziate e scollegate dagli episodi che si vogliono estinguere, attenzioni pertinenti alle problematiche emergenti e diminuire l’enfasi che si crea attorno ai comportamenti inadeguati.
- Dividete gli obiettivi da raggiungere e attribuite ad essi valori diversi. Non trattate cioè nello stesso modo, usando lo stesso intervento, il mordere, il picchiare e il muoversi compulsivamente. Distingueteli e perseguiteli dandogli priorità diverse. Per il bambino sarà più semplice, comprendere e impegnarsi su una cosa e poi affrontare le altre.
- Diversificate i rimproveri e soprattutto modificateli vistosamente. Se il rimprovero era urlato e il bambino spostato dai compagni che aggrediva con veemenza, avvicinatevi e provate a recuperare la sua attenzione durate l’evento utilizzando un tono molto basso di voce, un tocco nello staccarlo molto morbido ma deciso, un richiamarlo alla sofferenza che provoca nell’altro e che prova in se stesso, prima durante e dopo l’episodio
- Formulate delle ipotesi circa le motivazioni che spingono il bimbo ad assumere certi comportamenti e strutturate delle strategie di intervento pertinenti agli obiettivi. Un’ipotesi che mi sembra potrebbe essere plausibile, visto che in sezione è un bimbo gestibile e non lo è nei momenti comunitari, è questa: forse il bimbo esprime il suo bisogno di rapporto stretto e continuativo con le insegnanti nell’unico modo conosciuto. Provate a esplorare quest’ipotesi utilizzando le fiabe "che si costruiscono insieme", in cui il bambino e gli altri fanciulli sono chiamati a sviluppare una storia da voi proposta e che ha pertinenza con il problema. Provate a mettere in scena delle storie in cui si sperimentano le diverse situazioni in un intreccio di ruoli, in cui si esplorano anche le diverse soluzioni e possibilità.
- Anticipate le manifestazioni comportamentali del bambino individuando momenti di riconoscimento delle sue capacità relazionali, singolarmente e in gruppo. Se ha bisogno di sfogare una forte energia, una rabbia che non sa ancora nominare offritegli giochi che lo aiutino a manifestare la sua aggressività: cuscini da picchiare, facce da imbrattare, compagni da colpire, e da cui essere colpito, con palle di cotone idrofilo e garzate.
- Allenatelo a spiegarvi i motivi che lo spingono a mordere, a picchiare e chiedetegli, anche utilizzando un rinforzo, di comunicarvi quando è in procinto di aggredire qualcuno, quando desidera mordere.
Bene, concluderei sottolineando che il rielaborare l’esperienza e l’individuare nuove strategie di intervento devono costantemente tenere conto della seguente domanda: "Come la scuola per l’infanzia può aiutare a trasformare un’esperienza di relazione problematica in un’occasione di crescita per il bambino e per la rete delle relazioni che vi appartengono?"
Spero di esserle stata di qualche aiuto e buon lavoro.
copyright © Educare.it - Anno I, Numero 12, novembre 2001