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- Scritto da Roberto Di Luzio
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La medicalizzazione dell'educare: concetti e prospettive
Il mondo dell’educazione, che nell’immaginario rimanda subito ai grandi maestri della pedagogia da Cleparède a Montessori, è ad oggi molto cambiato e avverte sempre più forti e incisive la pressione e l’ingerenza esercitate nel suo campo d’azione da discipline altre rispetto a quella educativo-pedagogica. Questo è senz’altro un bene, nella misura in cui permette un percorso educativo e riabilitativo integrato del soggetto svantaggiato. Tuttavia, quando dinamiche sociali originatesi da discipline culturalmente dominanti si fanno preponderanti nell’ambito educativo, questo può comportare una deviazione, per non parlare addirittura di distorsione, delle finalità e delle metodologie tipiche delle scienze dell’educare. Questo è il caso, documentato dalla sociologia medica, dei processi di medicalizzazione strisciante che aggrediscono con intensità sempre maggiore il vivere genericamente inteso.
L’ascesa della medicina tra le “grandi religioni universali”, osserva Bronzini (2013), ha prodotto una progressiva medicalizzazione della vita e della società. Il concetto di medicalizzazione fa il suo ingresso nel panorama medico-sociologico tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, generato dalla critica alla dominanza medica professionale[1]. Nel corso degli anni, tale medicalizzazione ha subito mutamenti e interferenze che l’hanno indotta ad espandersi fino ai giorni nostri. È, infatti, possibile osservare che al concetto originario di medicalizzazione ha fatto seguito una più profonda e silente medicalizzazione dell’individuo: «la medicina si impone in modo autoritario sull’individuo, al di là della domanda espressa dal malato, e, soprattutto, amplia il suo oggetto di intervento dalla malattia alla salute e ai fattori che la sostengono, come le politiche urbane, ambientali o gli stili di vita» (Bronzini, 2013, p. 55).
Nulla resta escluso dalla medicalizzazione, tutto al giorno d’oggi è prima un fatto medico e poi sociale. Proprio a partire da questa asserzione è possibile impostare un discorso sulla strisciante medicalizzazione dell’educare in atto nella società odierna. I ragionamenti dei più per spiegare l’espandersi del fenomeno si concentrano su come la forza della medicalizzazione e la persistenza di metodi e approcci specifici della cura medica si poggino su interessi economici (Clarke e Shim, 2009). Non a caso, l’elemento centrale che caratterizza tale processo è lo stretto legame tra medicalizzazione ed economia politica: «il corpo medicalizzato è un corpo che entra nei circuiti economici […] come soggetto-consumatore di salute, con una duplice valenza, di corpo che consuma-erode il proprio capitale di salute ma anche come corpo che consuma-acquista una merce chiamata salute» (Bronzini, 2013, p. 55-56). Riconducendo il discorso educativo a queste dimensioni, appare evidente come il soggetto svantaggiato venga quasi naturalmente fagocitato dal circuito medico, che tende a psichiatrizzare la divers-abilità e lo svantaggio spesso in risposta a logiche meramente economiche legate a quel mondo nebuloso e confuso che ad oggi in Italia si occupa, tra privato, pubblico e no-profit, dei servizi di riabilitazione e sostegno delle divers-abilità.
Per tracciare un’auspicabile prospettiva futura, è necessario ripartire dall’ideale montessoriano per cui la questione dei soggetti svantaggiati si deve risolvere con procedimenti educativi e non con trattamenti medici, he permettano l’ampio dispiegarsi delle potenzialità dell’individuo nel suo contesto di vita, un contesto demedicalizzato che dovrebbe far appello alla sapiente scienza medica solo in maniera integrata alle altre discipline che si affacciano al bacino dell’educare e soltanto per quello che concerne il percorso educativo.
Note
[1] Quando si parla di dominanza medica professionale si fa riferimento a quella dinamica sociale, definita da Eliot Freidson e analizzata nelle sue quattro forme della dominanza funzionale, gerarchica, scientifica e istituzionale da Willem Tousijn, che comporta la posizione subalterna nei contesti lavorativi e formativi di tutte le altre professioni che interagiscono con gli ambiti di intervento in qualche misura toccati dalla professione medica (Spina, 2009).
Bibliografia di riferimento
- Bronzini M., Le frontiere indefinite della medicina e la medicalizzazione del vivere. Cura e salute. Prospettive sociologiche in Giovanna Vicarelli (a cura di), Carrocci editore, Roma, 2013, pp. 51-83
- Clarke A. E., Shim J. K., Prospettive internazionali. Medicalizzazione e biomedicalizzazione rivisitate: tecno-scienza e trasformazioni di salute, malattia e biomedicina. Salute e società. La medicalizzazione della vita in Maturo A., Conrad P. (a cura di), Anno VIII, n. 2/2009, FrancoAngeli, 2009, pp. 223-255
- SPINA E., Ostetriche e Midwives. Spazi di autonomia e identità corporativa, FrancoAngeli, Milano, 2009.
Autore: Roberto Di Luzio, educatore professionale socio-sanitario e Dottore magistrale in Management pubblico e dei sistemi socio-sanitari, opera da anni nell'ambito della riabilitazione e della valorizzazione delle divers-abilità con adulti e minori.
copyright © Educare.it - Anno XXI, N. 5, Maggio 2021