- Categoria: Pedagogia del quotidiano
- Scritto da Carla Rossella Cavallo
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Mi hai lasciato prima ancora di conoscerti
Perché parlarne? Perché dare voce a qualcosa che fa male, terribilmente male?
Solitamente sono le domande che subito mi vengono fatte appena sentono di cosa vorrei parlare. A questo punto io rispondo con una domanda: “Perché non parlarne? Cosa c’è di male nel condividere un dolore con tante altre persone?” Lo so che ci sarà l’interessato perché lo ha vissuto, l’interessato per capirci di più, l’interessato curioso e il disinteressato, come sempre!
Ma… molti ti consigliano di tenerlo per te e di non parlarne, sembra brutto, gli altri ci possono rimanere male, può ferire. Se vogliamo è un po’ contraddittorio se pensiamo che poi per superare questo dolore incolmabile hai bisogno di parlarne.
Se ne parla poco e te ne rendi conto solo quando ci sei dentro, quando sei tu a cercare una risposta o delle testimonianze che ti facciano da supporto anche se in realtà leggere o sentire di una perdita altrui non alleggerisce il tuo dolore.
Quando succede non si è mai pronti e non sai cosa ti aspetta, nessuno lo sa, non sai come ti sentirai, l’ansia che non andrà via per mesi e mesi, le lacrime che scenderanno senza gestirle e quel dolore insopportabile in quel vuoto pieno d’amore e nessuno te lo dice, purtroppo lo scoprirai da sola. Se solo se ne parlasse di più, se solo si preparasse di più la persona che a distanza di poco si dovrà separare dal suo piccolo…
Io voglio scriverlo, anche per alleggerire il dolore di qualcun’altra, semplicemente per dirle: “non sei sola”.
Succede e come ti viene detto dai medici succede tantissime volte, più di quanto immaginiamo, per diversi motivi e in diverse epoche gestazionali ma a noi mamme in quel momento, quanto interessa realmente l’epoca gestazionale? E quanto ci confortano i dati relativi alle perdite? Niente, semplicemente molto poco e quelle parole come gli sguardi rimangono impressi nella nostra testa.
Dal punto di vista strettamente medico l’OMS definisce come “morte perinatale” la perdita di un figlio avvenuta tra la 28a settimana di gravidanza e i 7 giorni dopo il parto. Ma quando una coppia perde un bimbo, in qualunque epoca dell’attesa o della vita del piccolo, affronta un impegnativo percorso per riuscire ad elaborare la perdita, con tempi e modi peculiari.
Passi dalla felicità iniziale dell’essere incinta allo sconforto più profondo, tieni tutto dentro e cerchi di reagire, ti butti a capofitto nel lavoro per non pensare e comunque ti sentirai dire: “dai ti vedo bene”, “ se riesci a lavorare stai bene”, … Si, apparentemente, ma poi quando sei a casa da sola? Crolli e dopo un po’ il tuo corpo inizia a cedere e non puoi più far finta di essere forte, però pensi. Pensi a ciò che ti dicono gli specialisti (di cui hai paura ma che sono gli unici in cui riponi quel poco di fiducia che hai) e c’è anche qualcuno che senza sapere la tua storia da un eco capisce tutto, che è un periodo di merda e che sei completamente sola.
Nessuno ma veramente nessuno può capirti, no per mancanza di volontà ma perché ognuno lo vive in modo diverso, per la mamma è un cordone tagliato troppo presto, una perdita di controllo su se stessa e sulla creatura che avrebbe dovuto difendere e dar vita. Per il papà un uragano senza neanche avere il tempo di rendersi conto che stava per arrivare.
Gli “amici” che hanno finto di essere amici ma che ora capisci che a loro di te non interessa proprio niente e semmai fanno a gara per essere più stronzi e finalmente riuscire a farti male, si perché ora che tu hai la ferita aperta è più facile colpirti e anche questo fa male.
In questi mesi ho imparato a spazzare via le amicizie da me definite spazzatura e a non perdonare chi mi fa male. In certe situazione non esiste più il capire e il dare un’altra possibilità, devo abituarmi a buttarmi dietro le spalle la gente e a non girarmi mai.
Spesso, purtroppo, si tende a minimizzare il dolore della morte di un figlio non nato o appena nato. Quando si perde un bambino, vengono a mancare anche i progetti, i desideri, le aspirazioni e se c’erano delle paure si accentuano in modo esponenziale. Non c’è una misura per il lutto, che definisce se e quando il dolore è lecito. Frasi come “Per fortuna eri incinta solo di tre mesi”, “Datti un’altra possibilità”, “Ti capisco ma vedrai passerà”, “Vedrai che ne avrai altri”, servono solo a banalizzare il dolore e si diventa inopportuni, anziché accoglierlo e riconoscerlo, purtroppo non tutti sono in grado di capire. Accogliere il dolore degli altri non è mai facile: si può avere l’impressione di non sapere cosa dire. Ma in casi come questi non è necessario trovare le parole, è sufficiente saper ascoltare.
Avete mai pensato che anche chi vive il lutto può sentirsi a disagio o inadeguato, ed evitare di parlare del proprio dolore per timore di sembrare esagerato?
Ebbene si, si cerca di non parlarne per paura delle risposte, per i nodi alla gola che arrivano e anche per una semplice lacrima che sicuramente scenderà.
Un miscuglio di tristezza, agitazione, collera, frustrazione, sono le reazioni che caratterizzano la persona in quel momento ed è assolutamente normale, quando ci si trova ad affrontare un evento luttuoso: è necessario darsi del tempo!
Devo pensare e avere cura del mio corpo, delle mie emozioni, di me stessa e dopo, forse, verrà qualcun altro. Quando si perde un bambino fa male terribilmente male, un dolore inspiegabile, fisicamente ed emotivamente. Una bomba che esplode dentro e che ti priva di tutto, un gioco beffardo quello del tuo stesso corpo perché ti fa male e continua a farti rivivere le emozioni positive ma finite negativamente creando un turbinio di sensazioni, tu non gestisci più niente. Hai la sensazione che la propria vita perda di senso e niente sembra avere più importanza. Per i genitori rimasti con le braccia vuote è difficile credere a quello che è accaduto e poterlo accettare.
Provi e riprovi a reagire, sei lì con diverse strategie, con i diversi aiuti ma il dolore è sempre troppo forte, il senso di vuoto e di rabbia restano sempre, anzi come difesa sviluppi “talenti” che non credevi di avere.
Un tornado che passa e lascia solo le macerie e tu mamma sei lì a guardare la distruzione, ti senti impotente, ti spoglia della capacità che pensiamo di avere nel controllare gli eventi, reagire o modificare le situazioni. È importante, cercare di riprendere la capacità di autodeterminazione abbiamo bisogno di sentirci in grado di scegliere per noi stesse.
Inizi pian piano, a modo tuo, a raccogliere i pezzi, devi ascoltarti, capirti e reagire ma non accettare chi ti dice cavolate. Farai fatica e ci saranno inevitabilmente momenti in cui tutto è pesante ed è senza senso, non fa niente anche dove non c’è senso c’è bisogno di te.
Prima di ricostruire la parte esterna distrutta, costruisci la tua parte interna, costruisci la tua corazza e fa del dolore la tua forza anche se cadrai altre miliardi di volte, pensa a lui/lei che in qualche modo c’è.
Autrice: Carla Rossella Cavallo, Pedagogista Clinico
copyright © Educare.it - Anno XX, N. 9, Settembre 2020