Educare.it - Rivista open access sui temi dell'educazione - Anno XXIV, n. 9 - Settembre 2024

  • Categoria: Racconti

La mia storia con Lala

lalaNon so se questo racconto sia un diario della mia storia con la mia amica a 4 zampe o la sua biografia. O magari la mia autobiografia. Beh, intanto che ci penso seriamente (forse sarà il tempo a stabilirlo), ve la presento. Eccola: lei è Lala, una bella meticcia, incrocio che ricorda un misto tra un golden retriever ed un border collie. I genitori (in realtà, in questo caso - ma oserei dire “soprattutto” con i cani trovatelli - solo mater certa est) erano anche loro provenienti da chissà quale intruglio di geni.

Lala è l’ultima in vita di una serie di cuccioli, nati da una serie di cucciolate, originatesi da La Volpe, ovvero dalla prima cagna randagia (ma non troppo) semi-adottata (senza cioè che si stabilizzasse) da me, sette anni fa e dalle sue figlie-nipoti, ecc… Perché dico l’ultima? Perché, tranne qualche sporadico cucciolo adottato, gli altri cagnolini e cani adulti, purtroppo hanno subito una brutta sorte. Nella casa di campagna in cui vivevo precedentemente, infatti, ero solita trovare i cadaveri di cuccioli e cani dei quali non si avevano tracce da giorni. Morti avvelenati o uccisi da uuno sparo.

Sorvolando queste che trovano tragico epilogo, quella di Lala è una vita costellata di traumi. Ha visto molto probabilmente la mamma, i fratellini ed i figli morire davanti ai suoi occhi… Come non poter convenire con lei sul giudizio dato a quell’essere a “2 zampe”? Bastardo? Assassino? Semplicemente pericoloso?

Fatto sta che Lala è una cagnetta fobica. Fobico è colui il quale ha paura, terrore di qualcosa, di qualcuno. Lala ha paura di… tutto! Umani, cani, rumori (grandi o piccoli che siano), ecc… Eppure nella sua famiglia, nessuno mostrava i suoi atteggiamenti paurosi, nessuno scappava alla mia vista, anzi erano molto affabili. Quindi, certamente, Lala non è fobica per sua natura.

Ma torniamo a Lala e me. Fato volle che, qualche anno fa, vinsi un concorso nella scuola, per cui, di comune accordo con mio marito, decidemmo di trasferirci. E Lala? Se fosse rimasta lì, sarebbe morta di fame uccisa come gli altri. Era fuori discussione, doveva venire con noi. “Non si lascerà mai prendere. E, qualora si lasciasse andare, non potresti mai portarla con te…” pensavo. “Il viaggio… e poi dovrei avere almeno un giardino (in campagna scorrazzava tra diversi ettari di terreno) e poi non mi accetterà mai”.

Giunse il periodo del trasloco. Trovai casa: per fortuna aveva ben due giardini. Insomma era tutto pronto. Tranne lei. E lei non c’era, veniva a mangiare, ma poi scappava via, non si lasciava avvicinare (come al solito). Mai una carezza…

Nessun sistema si rivelò efficace. Neanche quello di lasciarle un pollo intero (ossa escluse ovviamente) nel portone, per poterla prendere. Per la terza volta tornai nella mia vecchia casa con la ferma intenzione di prenderla e portarla con me. Ogni volta che provavo ad avvicinarmi mi auto-condizionavo dicendo “Questa è la volta buona, la catturerò!” e poi sentivo altre voci che mi rimbombavano in testa che parlavano di “Libero arbitrio”, “adattamento”, “fobia”…

Piansi come una disperata, per giorni. Le parlavo da lontano, con le lacrime agli occhi, che mi bruciavano incredibilmente.

Poi, a poche ore da quella che doveva essere la mia partenza definitiva, le dissi “Addio. So’ che non verrai mai con me, di tua spontanea volontà, perché tu non mi vuoi, non vuoi stare con me. L’ho capito. Ti voglio bene”. Non so come, ma in quel momento, nella mia testa, si formò un’immagine: vidi Lala con un collare rosso. “Seh… - mi dissi – Non succederà mai”. E continuai a versare lacrime.

Venne sera. Decisi di riprovare un’ultimissima volta. Giravo come una matta per la campagna in cerca del suo nascondiglio. S’era nascosta dappertutto in quei giorni e, pur scovandola, non riuscivo mai a raggiungere qui posti impervi. Oltretutto, avevo terminato anche il cibo. Ero disperata. S’era rannicchiata da una parte ed io la chiamai da lontano. Scappò, come sempre, ma stavolta si fermò. Immobile, in un posto in cui forse… forse potevo arrivare! Sì! Finalmente Lala si faceva accarezzare!

“Ok. Ed ora? Come farò a prenderla?”. Bella domanda. Ero rimasta tutti quei giorni a pensare al sistema migliore per catturarla e poi, all’atto pratico, non avevo neanche un collare, un guinzaglio, una corda… “La corda! Sì, quella per saltare!”. Corsi tra i pacchi e ritrovai il giocattolo di mia figlia. Tolsi i manici e feci un collare a strozzo (strano, ma, pur non avendolo mai visto fare, sapevo esattamente come dovevo costruirlo) e glielo misi al collo, dalla parte sporgente di un muretto. Ma tanto era inutile perché Lala restava lì, non si muoveva. Tuttavia dovevo prenderla. Era quella la cosa complicata. Dalla parte del muretto non potevo: era troppo alto. Dovevo tuffarmi sotto gli alberi. Attraversai carponi cespugli, rovi, alberi di pino che pungevano come non mai e chi più ne ha più ne metta. La presi in braccio e sempre carponi uscii fuori da quella situazione impossibile. Le mie braccia, tutte rigate dalle spine, rappresentarono per giorni quell’evento: un’opera ingarbugliatissima!

Neanche il tempo di pensare, che venne il momento di partire. Caricammo gli ultimi bagagli (acquario e piante comprese). Mancava solo lei: Lala. Le preparai un giaciglio di tutto rispetto: una scatola di cartone appiattita con su il vecchio fasciatoio di mia figlia, una coperta, un cuscino, insomma un letto da regina.