- Categoria: Risonanze
- Scritto da Roberto Dalla Chiara
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Lettera (in ritardo) ad una professoressa
Correva l’anno scolastico 1982/83, classe II D, Istituto Superiore, ultimo compito in classe di italiano del II quadrimestre. La professoressa di Lettere assegnò i titoli dei temi; il terzo consisteva nel commentare la seguente poesia di C. Kavafis:
"E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole e in un viavai frenetico.
Non sciuparla portandola in giro
in balia del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti
fino a farne una stucchevole estranea"
A quel tempo avevo un’impellente necessità: ri-equilibrare la media dei voti; non scelsi di trattare questo tema, ma uno più semplice. Andò bene(!), ma il testo di quella poesia continuò a risuonarmi attorno. Lo trascrissi in una pagina di quaderno, e ancora adesso mi accompagna.
L’ho cercato più volte; ho acquistato e letto diverse edizioni delle opere di Kavafis, ma non ho più trovato il testo con la traduzione riportata in quel lontano 1983.
Sono ancora quelle le parole che ritornano quando incontro persone che con la vita non ce la fanno… che ci provano ad essere diversi, a cambiare, a far sì che qualcosa di bello possa succedere.
Come un tarlo mi torna sempre alla mente quel "E se non puoi la vita che desideri …" perché nulla di più umano c’è che desiderare qualcos’altro di possibile, qualcosa che faccia "bene"… E sono spesso i desideri a spingerci avanti, a spronarci a cambiare, a indicarci una via anche se non riusciamo mai ad arrivare fino in fondo.
"Cerca almeno questo per quanto sta in te …": è "questo" che mi sembra sia trasmissibile a chi chiede di cambiare; prova, con tutte le forze che hai, siano esse anche le ultime, ma prova per tutto ciò che dipende da te a non sciupare ciò che ancora ti rimane. Cerca, cerca ancora quel qualcosa che ci appartiene, che ancora non ci rende estranei.
E’ a volte impressionante scorgere negli sguardi dei "ragazzi-utenti", nei loro racconti, la trama di una vita "stucchevole" ed "estranea", talmente complicata da aver trasformato loro stessi in estranei alla vita.
Non so se quella poesia ha originato la mia scelta professionale, ma ha di certo incontrato e permeato la mia "passione umana". L’ho rimuginata nel tempo, mi ha dato nei vari momenti significati diversi. Di certo ha fornito un marchio al modo di accostarmi all’altrui sofferenza… e probabilmente anche alla mia.
Volevo ringraziare quella professoressa… non l’ho mai fatto direttamente, forse perché non vi è stata l’occasione, forse perché non ho trovato il coraggio.
Mi piacerebbe che un giorno leggesse queste righe e vi si riconoscesse. Credo abbia fatto una cosa grande, a me e alle persone che in seguito ho incontrato ed accompagnato.
Ci si interroga molto spesso su come la scuola possa fare prevenzione e divenire comunità educante.
Oltre a rimandare a ciò che è già stato detto in studi, ricerche, esperienze… credo che ciò che più conti sia una presenza attenta, costante, reale che segue i percorsi dei propri studenti, azzardando anche qualcosa in più per fare crescere, per fare maturare, per trascinare in avanti, per vedere oltre la siepe qualcos’altro di possibile.
E infine volevo anche ringraziarla per tutto il tempo che mi ha dato per poter svolgere quel tema che già allora sentivo mio.
copyright © Educare.it - Anno II, Numero 7, Giugno 2002