- Categoria: Libri in vetrina
Gianluca Giunchiglia
Outsider. Poesie al limite
Tabula Fati, Chieti, 2023
pag. 104, 10 Euro
libro non disponibile presso la Redazione
a cura dell'autore
Senzatetto, barboni, clochards, homeless? Io li chiamo “outsider”, ossia “anime libere che vivono sotto le stelle”.
Per la società sono i marginali, gli ultimi. Individui dalla dignità calpestata. Gli “invisibili”, divenuti tali per la maggioranza della gente. Sono il risultato più evidente di un fallimento, quello della nostra società, che di postmoderno, a livello di civiltà, ha ben poco in più rispetto al passato.
Si spostano a piedi, o su biciclette o tricicli trainanti carretti. Capita di vederli spingere carrelli della spesa contenenti tutto il loro mondo. Sono i più poveri della terra, non hanno più nulla, non posseggono nemmeno più la dignità. Quando li incontriamo per strada, spesso li troviamo a dormire per terra su scatole di cartoni; accanto hanno il loro guardaroba racchiuso in buste di plastica colorate, un cartoccio di vino e delle lattine di birra. Possono avere accanto un cagnolino o anche due.
I capelli corti oppure rasta, la barba lunga, le unghie e i piedi neri come l’asfalto, i solchi lungo il viso indurito dal tempo. Se quel giorno non sono passati al centro della Caritas per una doccia calda, sono ancora sporchi di fuliggine e non profumano certamente di rose.
Se ti capita di trovarli svegli, i loro occhi fissano il vuoto, difficilmente ti guardano; altrimenti, se scorgi il loro sguardo, vedi tutta la tristezza, la testimonianza del dolore di chi è rimasto solo al mondo. Si sono sgretolate le connessioni con gli altri. La rete sociale e familiare non ha più retto, così sono andati fuori a occupare le vie della città, le sale d’attesa delle stazioni; anime perse lungo i binari, sotto le logge del centro storico, sulle panchine dei parchi pubblici, davanti alle chiese, alle vetrine dei negozi di lusso o nelle automobili adibite a casa. L’auto è l’unica cosa loro rimasta della vita precedente; mai si sarebbero sognati di finirci a dormire.
Adesso, per loro, l’unica speranza è quella di far passare il tempo velocemente, renderlo più scorrevole possibile; quel tempo che è sofferenza, patimento, simulacro di sopravvivenza. E per sopravvivere ci vuole incoscienza e coraggio. Chi è arrivato sin qui, di coraggio ne ha dimostrato fin troppo. Coraggio di andare avanti, nonostante tutto sia andato storto. Perché le cose non sono andate come loro avrebbero voluto. Il presente è naufragato, come anche il progetto di un futuro auspicabile. È accaduto qualcosa d’inimmaginabile, qualcosa che ha travolto l’anima, lasciandola sola al mondo. La solitudine crea mondi interiori, dove l’unico sentimento cui aggrapparsi è quello della nostalgia. Allora l’anima, per non sentire il dolore dell’assenza, cerca di offuscarsi, di anestetizzarsi. Si giunge facilmente a bere: ciò permette di annaspare tra i ricordi, fino a farti cadere in un sogno libero, dove si smette di soffrire, almeno per il tempo del sonno. Più si beve, più si dorme, più si dimentica. È un circolo vizioso, una scorciatoia per illudersi di non soffrire. Almeno là, in quei mondi onirici, il ricordo non è più nitido, spietato e crudele come nella realtà. È in questa contingenza che l’anima torna a essere libera.
Ognuno di loro conserva un passato diverso, origini e percorsi di vita che li vedevano attori protagonisti delle singole esistenze. Eppure, per chi li vede passando dalle strade, appaiono tutti uguali, perché appartenenti a un’unica categoria, quella degli ultimi. La storia di ciascuno è una storia unica, che spesso non ha avuto niente di diverso da quella di chiunque altro, cioè una storia ordinaria costellata da difficoltà comuni; a un certo punto, però, la normalità si è interrotta, è accaduto qualcosa d’irreparabile e tutto è cambiato. E quando la strada s’interrompe, le soluzioni si dilatano e non si vedono più vie d’uscita all’orizzonte, ecco che il dirupo sembra essere l’unica destinazione possibile.
Nella vita di strada è solito trovare persone appartenenti ad associazioni di volontariato che si occupano di loro, portando del cibo, da bere, coperte per resistere al freddo, e la consolazione di un dialogo, il calore di un abbraccio. Esistono anche dei rifugi dove i senzatetto possono dormire, ma per molti di loro è preferibile stazionare fuori; è un discorso legato alla libertà personale. Per la maggior parte di loro rimane più facile soffermarsi nei centri d’aiuto unicamente per l’igiene personale e il vitto.
Anche tra di loro, accomunati da un medesimo destino, capita di fare conoscenza e aiutarsi reciprocamente nel ricercare luoghi meno ostili possibile; in taluni casi nascono delle amicizie preziose, che non andranno mai dimenticate.
Non sembra vero, ma un tempo queste persone avevano una vita normale come la nostra: una famiglia, un lavoro, un hobby. Facevano sport, andavano in vacanza, al cinema, a fare shopping. E amavano, sì, avevano degli affetti, volevano bene. Non che ora non li abbiano, è che per condurre la vita che conducono, nel pieno del disagio, non possono coltivare le relazioni con le persone a loro care. Oppure queste persone non ci sono più o hanno dovuto interrompere ogni rapporto, causa l’alta conflittualità. A ogni modo, ciò è il segno più evidente della loro solitudine.
Esiste inoltre un sottogruppo di questo fenomeno, i cosiddetti punkabbestia, coloro i quali hanno rifiutato a priori di seguire i canoni di una vita normale. Sono giovani che hanno scelto di non integrarsi nella società, in quanto ritengono che essa sia sbagliata. Sono persone finite per strada subito dopo essere uscite dal nucleo familiare d’origine. Capita di trovarli nelle strade principali del centro storico a carambolare birilli in aria, oppure ai semafori. Sono spesso in coppia e accompagnati da cani. La tendenza è quella di trovare abitazioni vuote e occuparle, fin quando non vengono allontanati dalle forze dell’ordine. Il loro vivere è concepito nella totale anarchia, senza padroni né condizionamenti. Certo è che il prezzo da pagare non è piccolo. Quasi sempre sviluppano una dipendenza dall’alcool e dalle droghe che li illude, facendo sembrare meno dura la loro esistenza. Questi giovani ricordano un po' i figli dei fiori, seppur con una nota dark. La loro traiettoria è la stessa dei senzatetto, senza una meta e con una quotidianità povera di senso. La differenza sta nel loro girovagare da una città all’altra, senza mai affezionarsi a nessun luogo preciso. Le città sono solo delle fermate. La destinazione è frutto del destino, come ogni momento vissuto.
Alla domanda “Come si diventa senzatetto?”, la giornalista Arianna Castelletti risponde in questi termini: “Probabilmente come si cade in depressione, passo dopo passo, senza quasi accorgersene. Ce ne occupiamo in inverno, nei mesi freddi, ma i morti per strada si susseguono in ogni stagione. Il rapporto dell’Osservatorio della Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora (fio.PSD), pubblicato nel febbraio 2022, parla di 450 persone che hanno perso la vita tra il 2020 e il 2022 in condizioni di povertà estrema, per incidenti soprattutto (44%), per malattia (39%), per violenze subite (12%) e nel 5% dei casi per suicidio. Persone in prevalenza ancora giovani - uomini (per il 92%) e in età lavorativa (in media 49 anni) - che potrebbero dare un contributo positivo alla società. I dati Istat del 2021 ci dicono che in Italia vivono 500 mila persone senza fissa dimora o in campi attrezzati e insediamenti tollerati o spontanei. Sono quadruplicati rispetto al censimento del 2011, quando erano 125 mila. Numeri che mischiano ai senzatetto anche tutti quelli che un posto caldo a cui tornare ce l’hanno.
La fio.PSD compara i dati italiani con quelli UE: 7,6% di persone in condizione di esclusione abitativa, a fronte di una media europea del 4,8%; 27,8% di persone che vivono in condizioni di sovraffollamento (media europea del 16,8%). Dati allarmanti.
Il problema degli emarginati non è certo un problema marginale.”
Lucas
Avere una strada come casa
è il trampolino di lancio
su una piscina vuota.
Per pochi, non per molti,
esiste la possibilità del riscatto.
A Lucas è successo
che dopo anni
trascorsi da senzatetto,
dopo anni
di forte dipendenza all’alcool,
adesso vive insieme ad altre persone
in un appartamento dignitoso.
Quando mi parla,
mi guarda dritto negli occhi.
Mi dice
che da quando ha una casa,
non gli sembra vero,
ma non beve più.
La casa è la casa dell’essere,
ed è qui che l’uomo deve tornare
per trovare la direzione,
il senso e l’amore per la vita,
una vita degna di essere vissuta.
L’Housing first
“La casa prima di tutto” - inverte il concetto per cui prima il clochard deve dimostrare di aver risolto i suoi problemi e trovarsi un lavoro, e poi viene aiutato a trovare casa. Situazione rara a verificarsi. Con il nuovo sistema, come primo passo viene data alle persone senza dimora l’opportunità di entrare in un appartamento, dove trovano il supporto di un’équipe di operatori sociali direttamente a domicilio, che li aiutano anche a ottenere gli aiuti economici a cui hanno diritto. Uno spazio tutto per sé, e sicuro, che permette di riprendere il filo di una vita sospesa, a cominciare dal doversi assumere la responsabilità di “curare” la propria casa. Nasce come idea fra gli anni '50 e '60 negli Stati Uniti, ma comincia a concretizzarsi solo negli anni '90; i risultati positivi dell’esperienza statunitense hanno dato un impulso alla diffusione dell’“Housing first” anche in Europa a partire da questo secolo. La Finlandia, con questo sistema, è riuscita a ridurre il numero dei senzatetto dai 20 mila degli anni '80 ai poco più di 4 mila del 2021.
In Italia, il Nettwork Housing first Italia (NHFI) nasce il 1° marzo 2014 a Torino. Hanno aderito associazioni, cooperative sociali, fondazioni, comuni e servizi sociali pubblici, in tutto il territorio nazionale. I progetti sono arrivati in 52 città italiane, con circa mille persone coinvolte, e una percentuale di abbandono del programma pari solo al 7%. Chi aderisce firma un patto di convivenza che prevede solo tre regole: pagamento della piccola quota mensile, partecipazione ai colloqui con gli educatori e rispetto della civile convivenza.
Nel Piano Nazionale Ripresa Resilienza vengono finanziati oltre 250 progetti di “Housing first”, con un investimento di circa 250 milioni di euro.