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La pedagogia della lumaca, ovvero l'elogio della lentezza
Il clima di accelerazione storica del mondo contemporaneo con i suoi ritmi sempre più frenetici e vorticosi ha investito anche la scuola, che spesso non rispetta i tempi di apprendimento dei bambini e li costringe ad una spasmodica corsa, finalizzata al raggiungimento di sempre più incalzanti obiettivi ed alla realizzazione delle più varie proposte progettuali.
L’immagine che emerge è quella di una realtà fittizia, che rischia di essere divergente rispetto alle reali aspettative dei nostri alunni ed ai loro bisogni essenziali.
Il mio professore di pedagogia dell’Istituto Magistrale ci ripeteva spesso un concetto di Rousseau: “bisogna perdere tempo per guadagnarne”, evidenziando che quello che a volte ci appare come tempo perso è in realtà il modo più idoneo per favorire i processi di apprendimento e di crescita degli alunni. A distanza di tanti anni, convinta da esperienze maturate “sul campo”, ho ritrovato nel pensiero del dirigente scolastico Gianfranco Zavalloni una definizione autorevole a quanto da tempo riesco a rilevare nella prassi scolastica quotidiana.
A scuola, soprattutto nella scuola primaria, è necessario bandire la fretta e gli alunni devono avere la possibilità di crescere nel rispetto dei loro ritmi, dei loro modi e dei loro tempi di apprendimento. Il fautore della cosiddetta “pedagogia della lumaca” indica delle strategie didattiche di “rallentamento”, peraltro identificate in una scuola di Bolzano, utili per far vivere ad ogni bambino la scuola come un luogo in cui si cresce in modo naturale e tranquillo.
Perdere tempo a parlare rappresenta la premessa indispensabile per un corretta relazione educativa: non si può prescindere, infatti, dalla reciproca conoscenza e creare in classe un clima sociale positivo è possibile solo ascoltando e conversando con i bambini, conoscendo la loro storia e le loro vicissitudini quotidiane.
I nostri alunni, infatti, non sono materiale amorfo, da trattare in modo indifferenziato e modellare a nostro piacimento… L’ascolto è una delle esperienze più significative, direi fondamentali, della didattica e rappresenta la premessa di quell’empatia necessaria per fare dell’insegnamento una relazione d’aiuto.
Occorre perdere tempo per parlare insieme, nel rispetto di tutti; si deve perdere tempo per darsi tempo, ossia per scoprire ed apprezzare le piccole cose, quelle che magari diamo per scontate, ma che in realtà non lo sono, soprattutto per i nostri alunni, che vivono ogni esperienza con la gioia dello stupore. Ma è importante perdere tempo per condividere le scelte, organizzando a scuola zone di libertà “dove tutti possono sentire la responsabilità di ciò che hanno scelto”, e non solo…..
Si può perdere tempo per giocare, camminare, crescere: il gioco educa alla convivenza civile più di sterili regole apprese sui libri, che non saranno mai interiorizzate perché non vissute; camminare aiuta ad una maggiore conoscenza e alla scoperta del territorio e per prepararci al futuro dobbiamo dare il giusto spazio al nostro presente. Infine, perdere tempo per guadagnare tempo è necessario perché la velocità s’impara nella lentezza.
Il dirigente Zavalloni, grazie all’esperienza maturata in passato come insegnante di scuola materna prima e di scuola elementare dopo, ha delineato una sua “idea di scuola”: partendo dalle riflessioni pedagogiche di Malaguzzi, dalla teoria delle intelligenze multiple di Gardner, da Morin, dalle esperienze didattiche di Lodi e del Movimento di Cooperazione Educativa, arriva alla conclusione che un apprendimento significativo deve passare attraverso tre esperienze:
- il gioco
- lo studio
- il lavoro manuale
Naturalmente, non ci dovrebbe essere una scansione rigida degli orari da dedicare alle discipline di studio, ma piuttosto soddisfare la voglia di conoscenza dei bambini con proposte valide e motivanti. Una classe ideale dovrebbe essere, a suo avviso, composta da un massimo di 16 alunni, sia per favorire il lavoro a piccoli gruppi che per dare spazio alle potenzialità del singolo. Inoltre, sarebbe possibile sperimentare la funzione del tutoring tra pari: il bambino più competente che si occupa del più insicuro, in un clima di collaborazione reciproca.
La scuola, in questo modo, diventa uno spazio di crescita nel quale ad ognuno è consentito di esprimersi senza riserve e nel rispetto dei suoi ritmi, entrando in relazione con gli altri.
Secondo Zavalloni, “la scuola è un concentrato di esperienze, una grande avventura che può essere vissuta come se fosse un viaggio, un libro da scrivere insieme, uno spettacolo teatrale, un orto da coltivare, un sogno da colorare”. A scuola, infatti, si deve promuovere la ricerca, quella vera, che non si avvale semplicemente di un motore di ricerca per reperire informazioni, ma si basa sulla capacità di acquisire informazioni, di confrontarle con altre, cercando anche le persone giuste capaci di fornirle: la possibilità di commisurarsi con le opinioni degli altri e farne poi un nostro “pensiero sintetico” consente di costruire realmente un pensiero critico e di porre le basi per la formazione di una coscienza civica. E’, anche questo, un lavoro lento, “artigianale”, ma con un valore intrinseco determinato proprio dalla costruzione attiva del sapere. I bambini, oggi, fanno ricerche avvalendosi solo del computer ed utilizzando “copia e incolla” per economizzare sul tempo …..ma cosa rimane loro di questo sterile assemblaggio di notizie? La scuola deve offrire ad ogni alunno gli strumenti e gli spazi necessari per crescere e le tecniche di rallentamento sono necessarie per non perdere di vista il valore dell’alunno come persona unica e irripetibile, fatta di emozioni e di sentimenti.
La fretta, si sa, è cattiva consigliera e induce, a volte, i docenti ad assegnare molti compiti per casa per completare i percorsi programmati. Il problema, secondo Zavalloni, non è dato dalla quantità, bensì dalla qualità: se i compiti coinvolgono emotivamente l’alunno e sono piacevoli non sono vissuti come un peso, ma come una piacevole attività di ricerca e di riflessione.
A me è capitato, trattando di poesia, di invitare i bambini ad inventare, senza impegno, a casa, delle filastrocche e di scriverle su foglietti per poi, magari, leggerle in classe. Vedere corrisposta questa semplice richiesta in modo copioso e puntuale conferma il fatto che se un compito piace lo si svolge con amore e non lo si vive come un peso gravoso!
Un’altra osservazione significativa dell’autore è quella della calligrafia: abituare i bambini a scrivere bene (addirittura azzarda un ritorno al pennino e all’inchiostro) è didatticamente importante, intanto perché l’ordine esteriore è proporzionale a quello interiore e poi perché il nostro compito è quello di educare al bello. Così si promuove il gusto estetico e si impara ad amare la vita e la sua bellezza. La bella scrittura, che mi è stata insegnata dalla mia maestra, mi ha sempre aiutato ed è vero che una pagina scritta bene rende piacevole la lettura e ci abitua ad una lentezza produttiva. L’esempio della moviola, utilizzato dall’autore, è calzante per farci comprendere che le riprese alla moviola sono più affascinanti di quelle normali perché ci consentono di vedere tutti i particolari…
Consiglio pertanto la lettura del libro di Gianfranco Zavalloni, che ho trovato molto agevole e significativo, anche alla luce della mia esperienza di insegnante; per far sì che le nuove generazioni non si facciano travolgere dalla fretta ed imparino ad osservare e scoprire il mondo con gli occhi del neofita, con i loro occhi di bambini che sanno ancora esclamare “Oh, che meraviglia!”dobbiamo evitare di spegnere, in nome di una corsa senza significato, la loro sete di conoscenza, che ha bisogno di tempo e di rispetto.
Mi piace sintetizzare la pedagogia della lumaca, ovvero l’elogio della lentezza, con un invito proveniente dalla cultura latina: Festina lente, ossia affrettati lentamente… Per arrivare alla meta non bisogna correre, magari improvvisando, ma impegnarsi senza fretta ed in modo oculato.
Bibliografia:
Gianfranco Zavalloni, La pedagogia della lumaca. Per una scuola lenta e solidale, EMI, Bologna, 2008
Autore: Aida Dattola, insegnante nella scuola primaria, laureata in Pedagogia.
copyright © Educare.it - Anno IX, Numero 5, Aprile 2009