- Categoria: Ricerche sulla disabilità
- Scritto da Mirko Cario
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Adolescenza e disabilità intellettiva: uno studio di caso
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Nello sviluppo di un adolescente con disabilità la scuola rappresenta spesso l'unico luogo di ancoraggio al mondo dei normodotati. Alla luce di questa considerazione ho esaminato le modalità con cui un adolescente con disabilità intellettiva affronta la fine del percorso scolastico, con l'obiettivo di indagare se questa esperienza di passaggio sia in grado di aiutarlo ad elaborare un immagine di sé come persona adulta.
Dai risultati emerge come la scuola e la famiglia tendano a considerare l'adolescente in una dimensione infantile dalla quale egli stesso sembra non volersi allontanare. La fine del percorso scolastico sembra comunque rappresentare un vero e proprio “marcatore” del tempo. Il giovane su cui lo studio si è focalizzato ha individuato progetti a lungo termine che lo hanno aiutato a sperimentarsi in una dimensione temporale, alla quale prima non dava particolare importanza.
Dal momento che uno degli aspetti più difficili su cui lavorare, quando si parla di disabilità intellettiva, è quello legato alla mancanza di motivazione, i risultati di questa ricerca sostengono un approccio che miri alla realizzazione di obiettivi a breve o a lungo termine e che potrebbero aiutare i soggetti con disabilità intellettiva nel riconoscimento e nella valorizzazione di quei momenti di passaggio significativi nella costruzione di un'identità adulta.
Adolescenza e disabilità intellettiva
La crescita di una persona con disabilità intellettiva è strettamente correlata a una serie di fattori culturali e sociali che ne determinano lo sviluppo. Questi fattori, definiti nella “Classificazione Internazionale del funzionamento, disabilità e salute, ICF” (1) come fattori ambientali, costituiscono l'ambiente fisico e sociale in cui le persone vivono e conducono la loro esistenza.
Dall'analisi di questi fattori, svolta esaminando la letteratura scientifica sull'argomento, ho preso in considerazione alcuni degli aspetti in grado di influenzare il passaggio all'età adulta di una persona con disabilità intellettiva, sintetizzabili nei seguenti punti:
- 1) le rappresentazioni negative della disabilità che hanno portato nel corso della storia a un'immagine stereotipata e stigmatizzante della persona disabile.
- 2) Una cultura familiare, caratterizzata da un atteggiamento iperprotettivo nei confronti del figlio disabile “infantilizzato” e una relazione tra i genitori spesso problematica, impegnati nel difficile compito di metabolizzare l'evento traumatico, rappresentato dalla consegna della diagnosi e di abbandonare, col passare del tempo, l'immagine del figlio sognato e idealizzato.
- 3) Il progressivo depauperamento dei riti di passaggio, che un tempo determinavano il raggiungimento di un'identità adulta. Una condizione che appartiene all'intero mondo adolescenziale (disabili e non) della nostra società occidentale contemporanea.
- 4) Il raggiungimento dell'autoconsapevolezza da parte del giovane con disabilità e l'elaborazione di un progetto di vita realistico che tenga conto dei propri limiti, ma soprattutto delle proprie risorse.
La scelta di questo argomento nasce dalla convinzione che l'osservazione delle persone con disabilità intellettiva possa fornire una chiave di lettura sui processi psicologici che riguardano lo sviluppo e la crescita di ogni individuo, non solo del disabile.
A questo proposito Carlo Lepri parla di facilitazione della conoscenza e di valore restitutivo che la relazione con il disabile può offrire: «questa opportunità di conoscenza che i disabili mentali, con i loro meccanismi di funzionamento semplificati e rallentati, ci mettono a disposizione è quindi lì, a portata di mano, ma non sempre è una occasione facile da cogliere» (2).