- Categoria: Studi e articoli sulla disabilità
- Scritto da Mirko Cario
Breve storia della disabilità
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Nel corso della storia occidentale l'uomo, nella ricerca della normalità e della perfezione, ha cercato di adeguarsi tenacemente ai canoni proposti dalla cultura dominante, respingendo le categorie di diversità fisica e mentale. L'analisi storica che proponiamo in questo studio parte dal presupposto che il concetto di disabilità debba tener conto del bagaglio di immagini che ha plasmato nel bene e nel male la cultura contemporanea, dando vita a stereotipi e stigmi che ancora oggi condizionano, a volte in maniera inconsapevole, le nostre interazioni sociali.
Dall'antica Grecia al medioevo
I valori dominanti dell'epoca classica rispecchiavano l'ideale kalos kai agathos (bello e buono). Forza e bellezza venivano considerati ideali da raggiungere, mentre deformità e malattia non venivano tollerate perché associate alla colpa e alla volontà divina. Qualsiasi imperfezione fisica veniva infatti accostata al male e interpretata in chiave morale e/o religiosa come punizione e castigo.
Questa concezione è ampiamente documentata nella letteratura. Il filosofo greco Aristotele, nell'opera "Politica", sosteneva la necessità di una legge che impedisse ai bambini deformi di sopravvivere perché inutili allo Stato, affermando: “Quanto all'esposizione e all'allevamento dei piccoli nati sia legge di non allevare nessun bimbo deforme” (1).
Ancora prima di Aristotele, il suo maestro Platone affermava che il compito della giustizia e della medicina era curare i cittadini sani nel corpo e nello spirito: “Quanto a quelli che non lo siano, i medici lasceranno morire chi è fisicamente malato" (2).
Platone può essere considerato il precursore del movimento eugenetico, disciplina pseudo-scientifica del XIX secolo che ripropose le riflessioni tipiche dell'età classica sul rapporto tra bellezza e virtù e sul progresso umano. Nel libro La Repubblica di Platone viene menzionato per la prima volta il “razionale allevamento umano”, inteso come strumento del potere nelle mani dello Stato, necessario ai filosofi per perpetuare le loro virtù:
“Conviene che gli uomini migliori si accoppino con le donne migliori il più spesso possibile e che, al contrario, i peggiori si uniscano con le peggiori, meno che si può; e se si vuole che il gregge sia veramente di razza occorre che i nati dai primi vengano allevati; non invece quelli degli altri”(3).
Come spiegato da Mary Douglas nel saggio “Purezza e pericolo" (1966), l'uomo nell'antichità giustificava ogni evento tragico e inaspettato come conseguenza di un illecito e di una violazione di un tabù. Questa caratteristica della cultura greca si riflette nella tradizione ebraica e in particolare nell'Antico Testamento.
Nel Levitico sono elencate una serie di imperfezioni umane che precludevano, agli individui con qualche forma di menomazione, la possibilità di partecipare a qualsiasi forma di rituale religioso:
Il Signore disse ancora a Mosè: «Parla ad Aronne e digli: nelle generazioni future nessuno dei tuoi discendenti che abbia qualche deformità si avvicinerà per offrire il pane del suo Dio; perché nessun uomo che abbia qualche deformità potrà accostarsi: né il cieco, né lo zoppo, né chi ha una deformità per difetto o per eccesso» (Levitico, 21,16-20).
Con l'affermarsi del Cristianesimo si assiste a un profondo cambiamento culturale con la nascita di una nuova concezione della disabilità: la persona con handicap viene considerata come parte della comunità.
I Vangeli narrano l'incontro di Gesù con malati di ogni genere: ciechi, deformi e paralitici. In diversi passi del Nuovo Testamento vengono esplicitate le credenze popolari della Palestina di quei tempi: l'handicap era considerato una conseguenza del peccato. Secondo quanto riportato dai vangeli, dopo la guarigione miracolosa di un cieco ad opera di Gesù, gli apostoli gli chiesero: “Rabbi chi ha peccato, lui o i suoi genitori perché egli nascesse cieco? Rispose Gesù: né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è nato cieco perché si manifestassero in lui le opere di Dio”(Giovanni 9 : 1-3).
L'insegnamento attribuito a Gesù rappresenta una posizione innovativa rispetto alla tradizione ebraica precedente, in quanto la menomazione degli individui non viene più interpretata come conseguenza del peccato, ma viene letta come un monito per tutti i fedeli affinché possano compiere opere di bene. Gesù, in questo senso, invita la comunità a esercitare la carità nei confronti dei bisognosi, siano essi poveri, malati o storpi, denunciando ogni forma di diseguaglianza.
L'azione di Gesù può essere considerata uno dei primi interventi terapeutico-educativi nei confronti delle persone con handicap, in quanto non riduce la persona al solo deficit che manifesta e ristabilisce la fiducia della comunità nei confronti dell'individuo "malato" (4).
Dai tempi dei Vangeli alla nascita ufficiale del cristianesimo nel IV secolo, l'idea del peccato cambia significativamente. Il catechismo della Chiesa cattolica romana si allontana dall'insegnamento di Cristo e dei primi cristiani, viene ristabilita la connessione tra malattia e peccato, così che la deformità e la diversità fisica e mentale viene ricollegata a una punizione divina.
La chiesa del V e VI secolo ricorda ai fedeli che il peccato originale accompagna le loro vite e coloro i quali non sapranno conservarsi casti nei giorni proibiti e nelle festività avranno figli malati di lebbra o epilettici per punizione. Inizia così l'era della grande repressione, una nuova etica sessuale che caratterizza, secondo Le Goff, la storia della cultura occidentale: il rifiuto del piacere (5).
La comunità medievale avverte la repressione della chiesa cattolica e nello stesso tempo l'obbligo della carità cristiana, iniziando a farsi carico delle persone disabili. Durante il XII secolo iniziano a svilupparsi i lebbrosari, nei quali venivano assistiti i malati di lebbra in quarantena. L'esperienza di confinamento nei lebbrosari rappresenta il primo stadio dell'istituzionalizzazione.
Sparita la lebbra, cancellato o quasi il lebbroso dalle memorie, resteranno queste strutture. Spesso negli stessi luoghi, due o tre secoli più tardi, si ritroveranno stranamente simili gli stessi meccanismi (6).