- Categoria: Studi e articoli sulla disabilità
- Scritto da Mirko Cario
Breve storia della disabilità - Il darwinismo sociale
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Il darwinismo sociale
Il XIX secolo fu segnato dalla rivoluzionaria opera di Darwin l’Origine della specie (1859). In quest'opera Charles Darwin (1809-1882), introduce il concetto di "selezione naturale", meccanismo che agisce sulla variabilità dei caratteri, ossia la conservazione delle variazioni più vantaggiose per l'individuo nelle sue particolari condizioni di vita e l'eliminazione di quelle più svantaggiose.
Nella seconda metà del XIX secolo le teorie di Darwin si diffusero rapidamente anche fuori dall'Inghilterra producendo una vera e propria rivoluzione intellettuale, che modificò in maniera radicale l'immagine della natura e la concezione del mondo.
Il filosofo e sociologo inglese Herbert Spencer (1820-1903) elaborò una teoria sulla libera concorrenza fra gli uomini. Nel suo testo Social Statics (1851), Spencer afferma che in natura vige un “universale stato di guerra”, una legge di eliminazione del più debole a favore del più capace e intelligente, grazie alla quale viene impedito ogni “scadimento della razza”. Secondo Spencer i tentativi di attenuare la “rigida disciplina della natura” sono dannosi, perché la natura si sforza di “fare piazza pulita” degli individui deboli e di dar spazio solo agli individui migliori (12).
Spencer fu il primo ad applicare la teoria evoluzionistica darwiniana alla società, peraltro, travisandola in molti dei suoi aspetti fondamentali: primo fra tutti il concetto di adattamento. Questo segnò l'inizio del "darwinismo sociale", un approccio del tutto ideologico di cui si fece promotrice la nuova classe sociale trionfante, la borghesia, e che consisteva nell'applicazione delle idee darwiniane (in particolare quelle di lotta per l'esistenza e selezione naturale) alla società e alla politica. Le idee di Darwin furono infatti usate in modo del tutto strumentale per sostenere una grande varietà di opinioni sociali e politiche, che comportarono un'inevitabile ostilità tra nazioni e razze, attribuendo una validità scientifica a ideologie totalitarie, come avvenne dopo qualche decennio con quella nazista.
Fu nel XIX secolo, quando gli europei vennero a contatto con altre popolazioni oltre oceano, che nacque l'antropologia razziale: pseudo-scienza che, rifacendosi alla teoria evoluzionistica di Charles Darwin, tentò di dare una base scientifica al razzismo. Le razze umane vennero classificate in base alle qualità fisiche e intellettive e iniziò a svilupparsi il concetto di “razza superiore”. Anche negli Stati Uniti si invocava la teoria di Darwin a supporto della presunta superiorità delle persone di carnagione “bianca”. La stessa comunità scientifica promosse una serie di ricerche volte a studiare l’ereditarietà di quei gruppi che si presumeva fossero biologicamente inferiori (13).
In questo clima le scienze naturali rappresentavano un'autorità incontrovertibile, così che l'antropologia razziale e il socialdarwinismo dell'epoca si tramutarono in forme sempre più estreme di profilassi sociale. È proprio all'interno di questa concezione razziale, tipica della cultura occidentale del XIX e XX secolo, che furono poste le basi per la realizzazione dell'eugenetica.