Educare.it - Rivista open access sui temi dell'educazione - Anno XXIV, n. 9 - Settembre 2024

Breve storia della disabilità - L'eugenetica e lo sterminio nazista

L'eugenetica e lo sterminio nazista

Il termine “eugenetica” fu usato per la prima volta dall'antropologo inglese Francis Galton (1822-1921), nell'opera Hereditary Genius (1869), per definire lo studio delle condizioni nelle quali vengono "prodotti" uomini superiori.

In Inghilterra si diffuse inizialmente con il nome di “stirpicoltura”, per poi espandersi negli Stati Uniti, in Svezia, in Germania, in Francia e in Italia. L'eugenetica si sviluppò come risposta al timore dell'epoca che la selezione naturale avesse cessato di agire per il miglioramento della specie e che quindi l'uomo dovesse prendere in mano le redini dell'evoluzione.

Galton definì l'eugenetica come la scienza per il miglioramento della specie umana. L'opera di Charles Darwin (cugino di Galton) ebbe un'influenza notevole nel suo pensiero, in particolare il concetto di “lotta per la vita” che per Galton ha una valenza ideologica e sociale. Egli sosteneva che la trasmissibilità dei caratteri avveniva prevalentemente per via ereditaria, senza alcuna influenza dell’ambiente o della società.

Lo scopo dell'eugenetica divenne quindi quello di liberare l'umanità dalle malattie e dalle imperfezioni, incoraggiando la riproduzione degli individui migliori e scoraggiando quella degli individui con qualche forma di disabilità fisica e mentale (14).

Anche gli scienziati italiani furono influenzati dalla corrente eugenetica del XX secolo. Il criminologo Cesare Lombroso (1845-1909), diede un enorme contributo alla diffusione del programma eugenetico in Italia e fornì anche una base teorica all'ideologia razziale del regime hitleriano. Nella sua opera L'uomo delinquente (1878), Lombroso sosteneva che il destino dell’umanità era appiattirsi in una mediocrità sempre più invalicabile, senza genialità e senza spinte in avanti. Egli parlò di “delinquenti antropologici” per definire tutti quei soggetti colpevoli di atti criminali perché fisicamente e psicologicamente diversi dall'uomo “normale”, una sorta di propensione al crimine ereditata geneticamente. Lombroso arrivò al punto di quantificare interi gruppi etnici come criminali, e uno di questi gruppi di degenerati erano le persone con qualche forma di disabilità. Per citare un solo esempio, definì l'epilessia come un segno evidente di criminalità, in quanto (secondo le sue ricerche) ogni criminale soffre in qualche modo di epilessia. Per questi casi di degenerazione antropologica la cura non poteva non essere che drastica: carcere duro e pena di morte (15).

Con l'avvento del fascismo, l'eugenetica italiana arrivò al culmine della sua espressione.

Con il suo “discorso dell'ascensione” nel 1927, Mussolini affermò che lo Stato è il principale garante della salute pubblica e che il suo compito è quello di curare la razza dalle impurità e dalle imperfezioni. Durante il ventennio fascista, il controllo eugenetico si concretizzò in provvedimenti legislativi e drastici aumenti di pazienti ricoverati negli ospedali psichiatrici. I medici e gli psichiatri fascisti erano ossessionati dalla presunta diffusione di degenerazioni e infermità mentali, così che tra il 1926 il 1928 vennero internati più di cinquantamila malati mentali (16).

Analogamente in Germania i nazionalsocialisti tedeschi, negli anni trenta del XX secolo, adottarono i provvedimenti più radicali e violenti di sterilizzazione coatta. La tragica storia dell'olocausto nazista si apre proprio con l'eliminazione sistematica degli esseri umani più deboli e indifesi. Già all'inizio del cancellierato di Hitler, una legge del 1933 elencava i candidati alla sterilizzazione: persone con handicap fisici e mentali, soggetti affetti da malattie congenite, nonché da cecità ereditaria e sordità, e più tardi interi gruppi etnici considerati “biologicamente inferiori”. A questa legge due anni dopo seguirono le famose “leggi di Norimberga” (1935) che impedivano matrimoni e accoppiamenti tra persone “indesiderabili” (17).

Alla sterilizzazione coatta fece seguito l'eutanasia dei cosidetti esseri “inferiori”. Con il termine “eutanasia” si intendeva un vero e proprio assassinio di tutti quegli esseri umani che vivevano una “vita non degna di essere vissuta”; questo “tipo” di eutanasia può essere considerato il primo capitolo del genocidio nazista (18).

Per sensibilizzare la popolazione tedesca alla necessità dell'eutanasia, la propaganda nazista iniziò a denunciare gli alti costi che le cure destinate ai disabili comportavano per la collettività, giustificando così l'eliminazione di tutte quelle vite umane prive di valore che rappresentavano un peso per la società.

Nel 1938 ebbe inizio la soppressione legalizzata dei bambini affetti da insufficienza mentale e deformità fisiche; neonati, bambini e adolescenti colpevoli di essere nati con un handicap, affetti da malattie congenite, con qualche difficoltà di apprendimento o con problemi comportamentali, vennero uccisi in nome della “purezza razziale”.

Un anno dopo (1939) un decreto del Führer estese l'eutanasia anche agli adulti affetti da gravi disturbi mentali; venne elaborato un piano di sterminio dei malati mentali con l'obiettivo di eliminare “silenziosamente” il quaranta-sessanta per cento dei malati incurabili presenti nei manicomi.

In quegli anni venne istituito un “Ufficio eutanasia” noto come Aktion T4, dove T4 stava per Tiergartenstrasse 4, indirizzo del gruppo di lavoro del Reich per la “gestione delle case di cura” e nome in codice dell'operazione di eutanasia, che prevedeva la creazione dei primi centri di eliminazione (precursori dei campi di sterminio), dove i medici nazisti selezionarono milioni di disabili destinati alle camere a gas. Tra il 1939 e il 1947, solo in Germania, furono uccise 275.000 persone disabili (19).