Educare.it - Rivista open access sui temi dell'educazione - Anno XXIV, n. 9 - Settembre 2024

Breve storia della disabilità - Il contesto italiano: la normativa di riferimento

Il contesto italiano: la normativa di riferimento

In Italia i primi riferimenti normativi che riguardano la disabilità risalgono al 1917, quando lo Stato italiano attiva le prime forme di assistenza economica, sanitaria e di avviamento al lavoro a favore degli invalidi e dei mutilati di guerra, così che per la prima volta le persone disabili diventano titolari di diritti soggettivi. Pochi anni dopo, la riforma Gentile del 1923 introduce le prime norme sull'istruzione scolastica per i minori disabili, seguita nel 1928 dall'avvio delle classi differenziali e delle scuole speciali.

Nel 1948 viene promulgata la Costituzione della Repubblica, che sancisce i principi di uguaglianza e tutela dei soggetti deboli. L'art. 38 della Costituzione afferma che:

Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano provveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili e i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi e istituti predisposti o integrati dallo Stato.

A partire dagli anni '80 si inizia a parlare di inserimento lavorativo a favore delle persone disabili, ciò costituisce una svolta radicale che assegna al disabile il ruolo, prima inimmaginabile, di individuo produttivo.

Con la legge n°482 del 1968, confermata nella legge n°104 del 1992, viene introdotta l'assunzione obbligatoria della persona disabile per le aziende oltre i 35 dipendenti, e un costante miglioramento delle tecnologie, definiti “ausili”, che contribuiscono ad aumentare la gamma dei possibili impieghi. Tali ausili comprendono in primo luogo strumenti informatici accessibili ai disabili sensoriali, ma anche ausili meccanici per la locomozione e la scrittura.

Per quanto riguarda l'integrazione scolastica, nel 1977 la legge n°517 garantisce tutti i bambini disabili l'accesso alle scuole pubbliche. Nel testo legislativo troviamo per la prima volta il termine “integrazione” anziché “inserimento”, indice di una mutata concezione dell'alunno disabile, che non viene più relegato in un istituto specializzato o in una scuola “a parte”, come previsto dalla precedente normativa con la legge n°12 del 1962, ma entra a far parte del “normale” ordinamento scolastico. Nasce in questi anni la figura dell'insegnante di sostegno, figura professionale qualificata che ha il compito di realizzare un progetto didattico personalizzato alle caratteristiche dell'alunno disabile.

Negli anni '90 si compie un ulteriore passo in avanti con l'approvazione della legge quadro sulla disabilità, la n. 104 del 1992, ancora oggi vigente. Grazie ad essa, la complessa tematica dell'handicap trova una sua collocazione sociale; viene promossa la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società, attraverso la prevenzione e la rimozione delle “condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata alla vita della collettività, nonché la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali”.

Secondo la legge n. 104/1992 “è persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale e di emarginazione”.

Tale definizione ha suscitato molte polemiche, perché si parla di minorazione e dei suoi effetti sull'individuo, senza considerare il comportamento del soggetto interessato e i servizi che la società offre per il superamento del suo deficit.

Le aspettative nei confronti di questa legge erano molte. Le persone colpite da qualche forma di handicap, le loro famiglie, e le organizzazioni ed associazioni che si occupavano di loro pensavano che finalmente si sarebbero risolti i problemi principali: la casa, la riabilitazione e l'inserimento scolastico. In realtà questo non accadde poiché la Legge quadro si rivelò ben presto carente soprattutto sul piano dei diritti, tanto che fu successivamente definita una “scatola vuota”.

Già dal titolo, Legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, emerge come sia prioritaria l'assistenza e non i diritti, in più non vengono sanciti nuovi diritti rispetto quelli già esistenti e quindi non è stato apportato nessun miglioramento. Le prestazioni inoltre riguardano tutte le persone con handicap indifferentemente, senza una distinzione tra handicap intellettivo (l'insufficienza mentale) e handicap psichico (la malattia mentale). Le persone con handicap intellettivo, assimilati ai malati di mente, furono infatti esclusi dal collocamento obbligatorio al lavoro, sancito con l'entrata in vigore della legge n°482 del 1968 (26).