- Categoria: Pedagogia interculturale
- Scritto da Fulvio Poletti
Straniero, frontiere, alterità: un progetto con i giovani nel Cantone Ticino
L’articolo offre un’esemplificazione concreta delle riflessioni approfondite nell’articolo dal titolo “Profughi, rifugiati, alterità: è ancora proponibile una pedagogia interculturale?” pubblicato su Educare.it n. 2/2019. Nello specifico si tratta di un Progetto pluriennale realizzato nel Cantone Ticino (Svizzera) che ha visto protagonisti una cinquantina di ragazzi per annata, dai 15 ai 20 anni, con origini e appartenenze culturali assai diverse.
Introduzione
La cittadinanza, analogamente alla democrazia, non è data o acquisita stabilmente, ma va coltivata e costantemente intrattenuta con impegno e perseveranza, alla stregua di una conquista cui anelare sempre di nuovo e mai agguantata una volta per tutte: «se la cittadinanza non diventasse concreta condizione attraverso un processo pedagogico ed educativo che investe tutto il territorio, la sua prospettiva risulterebbe svuotata di senso, prima di tutto politico, perdendo così valore per l’uomo» (Grasso, 2011).
Se ci spostiamo sul fronte dei giovani, si constata come spesso se ne parli – a livello di opinione pubblica e nei mass media – in termini di allarme sociale, giacché vengono evidenziati (ma sarebbe meglio dire enfatizzati) quegli episodi di cui alcuni di loro sono protagonisti, interpretati come fattori di pericolo o di rischio per l’ordine costituito e l’organizzazione sociale.
Anche nel novero della letteratura specialistica in circolazione, l’adolescenza viene dipinta come un periodo dell’età evolutiva spesso associato a una fase “problematica”, “difficile”, piena di “turbolenze” nella transizione verso l’età adulta, che talvolta sembra non arrivare mai. In definitiva, pure i discorsi “scientifici” tendono a contrassegnare questa fase della vita prevalentemente all’insegna della problematicità, degli elementi di criticità e dei fattori di rischio.
Invece di concepire i giovani come fonte di preoccupazione e di problemi dal punto di vista sociale (devianza, delinquenza, vandalismi, disadattamento …) o/e sanitario (comportamenti rischiosi per la salute: abuso di alcol, dipendenze varie, malattie sessualmente trasmissibili, incidenti stradali per eccesso di velocità o abuso di sostanze …), qui si intende far leva sulle loro potenzialità, qualità e competenze da sviluppare positivamente in funzione di un benessere globale, da co-costruire fra “pari”, ma nel contempo comunitariamente, attivando le risorse presenti nel tessuto antropologico del territorio considerato, connotato da precise coordinate geografiche, storiche, socioculturali da tenere sempre ben presenti.
Per tale via, oltre a rinforzare la strutturazione della personalità delle nuove generazioni viste come interlocutore fondamentale su cui investire per l’innovazione di una comunità o di un consorzio umano, si auspica pure di fornire un contributo teso a promuovere una società accogliente e solidale, incline alla convivenza civile e partecipativa. «Si tratta di educare ed educarci alla responsabilità, cercando nella responsabilità l’autenticità ed il tratto identitario di ciascuno. Non si può crescere da soli, si cresce con gli altri e negli altri, in una dinamica che sappia portarci fuori dall’individualismo e dalla chiusura nell’io, conducendoci verso la costruzione del "noi" e della comunità. Allora le cose che ci attendono si fanno sempre più chiare, nella loro direzione e nel loro senso: impegnarsi per costruire la comunità, tessere legami e curare le soggettività; recuperare il valore della responsabilità, non solo come forma di dovere ma come strumento di libertà e liberazione; investire nella cultura; ridare centralità a diritti ed eguaglianza sociale» (Don L. Ciotti, 2011).
In definitiva, si tratta di dare la possibilità ai giovani di diventare protagonisti della loro crescita personale e di gruppo, così che, mediante la sperimentazione di una concreta progettualità (di un fare insieme) che li ponga in rapporto diretto con una serie di istanze sociali, istituzionali, culturali, essi abbiano modo di imparare l’arte della cittadinanza, vivendola sulla propria pelle.
«Noi intendiamo l’educazione alla cittadinanza come la possibilità di un viaggio appassionante che permetta ai giovani, a partire dalle proprie capacità, possibilità, inclinazioni, di trovare, attraverso molteplici possibilità espressive, la propria via di incontro con la società organizzata degli adulti. Pensammo allora di provare a guardare più lontano e cercare di valorizzare il più possibile quei ‘focolai’ di partecipazione e protagonismo giovanile che tanti luoghi del nostro territorio vedono ogni tanto accendersi e di dare loro uno spazio dove incontrarsi. Provammo quindi, da subito, ad immaginare tale luogo come un laboratorio d’incontro tra ragazzi e tra loro e gli adulti, come crocevia di diverse narrazioni e racconti, come acceleratore del passaggio di un’esperienza di vita e impegno sociale locale allo status di esperienza di protagonismo sociale» (Grasso, 2011).
Il progetto in Cantone Ticino
Sulla scorta di queste premesse e suggestioni metodologiche, è nato il progetto in causa volto alla “Promozione del benessere e della cittadinanza attiva con i giovani” – intrapreso a titolo sperimentale nel Cantone Ticino (Svizzera) nell’arco temporale 2014-2018 e tuttora in corso, perché prolungato a seguito dei buoni risultati riscontrati –, il quale parte dall’ipotesi di lavoro improntata a un sostanziale mutamento di paradigma. Invece di agire sul disagio, come avviene spesso nell’ambito dell’azione sociale condotta da diverse istanze più o meno istituzionali che si occupano d’integrazione in seno ai consorzi umani, si è partiti dall’intento di mobilitarsi a favore o a “soccorso dell’agio”, come suggerisce Duccio Scatolero.[iv]
Alla luce di una lettura/interpretazione del genere, a “soluzioni” di carattere poliziesco e repressivo per garantire l’ordine pubblico e per rispondere alle esigenze di sicurezza della popolazione (peraltro esasperate da campagne politiche e mediatiche tendenti ad enfatizzare pericoli, problemi, difficoltà, misfatti, tensioni visti ovunque e gonfiati ad arte) si è decisamente propensi a scommettere sull’opzione educativa e culturale che vede nel rinforzare il legame sociale, nonché nel presidiare i luoghi pubblici da parte dei cittadini con manifestazioni ricreative e di animazione socioculturale la risposta migliore per rendere “più sicure” e vivibili piazze, strade e contrade.
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Autore: Fulvio Poletti è responsabile del Servizio didattica e formazioni dei docenti della SUPSI nella Svizzera italiana (www.supsi.ch/go/sedifo). Ha sviluppato i suoi interessi soprattutto attorno alle problematiche dell’educazione e della formazione, alle questioni giovanili e nell’ambito dell’interculturalità.
copyright © Educare.it - Anno XIX, N. 4, Aprile 2019