- Categoria: Conflitto e mediazione
- Scritto da Laura Tiberi
Quante mediazioni?
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La correlazione tra mediazione e conflitto, così corrente nel senso comune, può essere molto limitativa. “Sarebbe estremamente riduttivo – sostiene questo proposito Guillaume-Hofnung - considerare la mediazione come una tecnica di gestione dei conflitti; il conflitto non fa parte della definizione globale della mediazione, sebbene quest’ultima possa contribuire alla soluzione o gestione dei conflitti”.
A partire da questo assunto andiamo all’esplorazione della pluralità degli approcci teorici della mediazione e delle diverse tecniche della sua applicazione.
Jacqueline Morineau analizza il conflitto da un punto di vista psicologico e sostiene che esso nasce nel “passaggio dall’ordine al disordine, dalla sicurezza … di una situazione nota allo smarrimento e confusione generati da una nuova”.
Nella dinamica di incertezza data dall’interruzione della relazione tra due persone che prima si amavano e ora non riescono più a comunicare, può nascere anche la violenza: il setting della mediazione, in questa ottica, è il luogo di accoglimento di tale smarrimento, è lo spazio per la parola. La Morineau sottolinea anche il fenomeno di proiezione nel setting da parte dei mediatori stessi del loro proprio conflitto interiore come manifestazione del bisogno di superarlo: incontrare il conflitto degli altri è incontrare il proprio, superare il conflitto altrui è superare il proprio.
Castelli sottolinea, invece, l’aspetto funzionale del conflitto come espressione della necessità del cambiamento insita, e inevitabile, in ogni sistema; in questa ottica, il mediatore dovrebbe essere “un tecnico della gestione del mutamento”, depotenziando le emozioni che si esprimono nel setting per tenerle fuori dal processo di mediazione; l’approccio che propone Castelli è controllato, oggettivo.
Queste diverse interpretazioni contribuiscono a fornire elementi di riflessione sul tema, tutti estremamente utili: la visione psicologica della Morineau rimanda agli aspetti terapeutici della mediazione, mentre quella funzionale, alla quale fa riferimento Castelli, testimonia l’esigenza di un setting più formale, meno “contaminato” dall’emotività, considerate come un rumor di fondo che va ad influire in modo distorcente/disturbante sul processo di mediazione.
Tuttavia, superando gli opposti, si può pensare a forme di mediazione che si conciliano con entrambe le esigenze, che accolgono le emozioni e le gestiscono come tecnica di cambiamento.