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Bambini e filosofia: educare alla curiosità epistemica

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bambino disegna

L’articolo analizza il rapporto tra bambini e filosofia, a partire dalla constatazione che i bambini sono naturalmente filosofi. Compito degli educatori è di accogliere e alimentare questa attitudine speculativa, attraverso modalità adeguate alle diverse età. A questo riguardo, l’autrice offre alcuni spunti operativi.

 

Introduzione

Comunemente, si guarda alla filosofia dal punto di vista didattico, ossia come una disciplina strutturata intorno ad autori, temi, epoche di riferimento, che approfondisce l’evolversi del pensiero nella storia e nelle diverse culture. In realtà, la filosofia è innanzitutto un atteggiamento nei confronti della realtà e dell’esistenza e, secondo questa prospettiva, è possibile delineare una relazione virtuosa tra infanzia e filosofia, all’insegna della complicità e dell’interdipendenza. I bambini, infatti, nascono con un’innata curiosità nei confronti del mondo, un insopprimibile bisogno di esplorare e comprendere la realtà nei suoi meccanismi naturali e sociali, di dare un significato alle cose con cui entrano in relazione, sostenuti da una genuina capacità di meravigliarsi. Questo innato desiderio investigativo evolve nel tempo, grazie allo sviluppo fisiologico, motorio e cognitivo. Si pensi, ad esempio, al bambino che a 10 mesi inizia a puntare il ditino verso ciò gli interessa; questo semplice gesto - cosiddetto di pointing - consente di richiamare l’attenzione dell’adulto ed avere un sostegno nel decifrare la misteriosa mappa del mondo. Il desiderio conoscitivo del bambino assume una forma conclamata con il progressivo sviluppo del linguaggio, che consente alla sua curiosità di avvalersi di uno straordinario strumento di comunicazione: nella fatidica “fase dei perché”, che in genere si verifica dai tre anni di vita, il bambino spesso travolge l’adulto con un’incalzante serie di domande con cui cerca di appropriarsi del mistero del mondo e del suo funzionamento. Questa attitudine rende il bambino naturalmente esploratore, ricercatore e, prima ancora, filosofo.

Etimologicamente, la filosofia è “amore per il sapere” e nasce nel momento in cui l’uomo si pone domande sul mondo, si interroga sull’origine dell’esistenza e delle cose di cui ha esperienza, assume una posizione di ricerca di cui il dubbio, la perplessità e la curiosità sono fattori propulsivi di conoscenza.

La curiosità epistemica è quindi il denominatore comune tra bambino e filosofo, come sostiene Jostein Gaarder: «L’unica cosa di cui abbiamo bisogno per diventare buoni filosofi è la capacità di stupirci (…). Nel nostro animo noi intuiamo che la vita è un mistero. E questa è una sensazione che abbiamo provato una volta, molto tempo prima che imparassimo a pensarci» (Gaarder, 1994, pag. 88). (continua ...)

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L'articolo completo in italiano è disponibile in allegato per gli abbonati.


Autrice: Antonella Bastone, pedagogista, docente a contratto presso l’Università di Torino, l’Università del Piemonte Orientale e l’Università di Genova.


copyright © Educare.it - Anno XXII, N. 5, Maggio 2022

Il bambino e l’espressione artistica, tra sviluppo grafico e bisogni educativi

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bambino disegnaL’articolo esplora il rapporto tra bambino e arte nella prima infanzia, come fondamentale opportunità di libertà espressiva. In particolare, sono analizzate le tappe dello sviluppo grafico, le relative funzioni formative e il ruolo dell’adulto nel sostenere le attività espressive del bambino.

 

Introduzione

Perché il bambino disegna? Perché si impegna, seppur con significative differenze individuali, fin dal momento in cui riesce a coordinare intenzionalmente la sua azione motoria, in manufatti e attività di rappresentazione grafica?  Gli studi transculturali mostrano che la rappresentazione grafica è una modalità universale di comunicazione infantile, dal momento che i bambini di tutte le culture ed epoche storiche, non appena lo sviluppo cognitivo e motorio lo consente, approdano, attraverso tappe progressive di abilità, alla modalità grafica per rappresentare la realtà esterna e il proprio mondo interiore (Giani Gallino, 2008).

Picasso sosteneva che “Tutti i bambini sono degli artisti nati. Il difficile sta nel fatto di restarlo da grandi”. Le parole del grande artista spagnolo, che si è anche ispirato alla cosiddetta arte infantile nella sua produzione, confermano un’inclinazione artistica intrinseca nella prima infanzia, spesso sottovalutata dall’adulto e che rischia di scemare progressivamente con lo scorrere dell’età.

Il compito dell’adulto resta fondamentale, innanzitutto, nel fornire al bambino opportunità di espressione artistica, nel valorizzarne i tentativi di rappresentazione grafica e soprattutto nell’apprezzare l’arte infantile nella sua peculiarità. Per molto tempo i disegni dei bambini sono stati analizzati e interpretati da una posizione adultocentrica, ossia finalizzata a rimarcare le differenze rispetto al livello massimo di rappresentazione realistica prodotta in fase adolescenziale e adulta; ne consegue che il disegno del bambino risulta sempre per qualche verso “mancante” rispetto al disegno adulto: è privo di dettagli e particolari, le forme e i colori non corrispondono a quelle reali, si rimarcano grossolanità e imprecisioni, manca di prospettiva e di corrispondenza visiva.  In realtà, come si vedrà, il bambino rappresenta la realtà dal proprio punto vista, a cui ovviamente corrispondono anche delle difficoltà collegate al suo sviluppo cognitivo e motorio, ma molte delle caratteristiche che gli adulti tendono a classificare come errori grafici hanno un significato diverso che non necessariamente identifica un deficit o una mancanza di abilità. Invece, spesso il bambino modifica intenzionalmente la realtà percepita attraverso il disegno perché vuole comunicare desideri, emozioni e vissuti interiori.

Le finalità dell’espressione grafica del bambino

Realizzare un disegno è un compito cognitivo complesso per il bambino, risultante dallo sviluppo integrato di molteplici abilità di natura cognitiva, percettiva e motoria. Questa complessità spesso non viene colta dall’adulto, che tende a sottovalutare i primi tentativi grafici del bambino; si pensi alla tendenza di definire “scarabocchi” i primi disegni, con un’evidente sfumatura dispregiativa. Invece, compiere alcuni semplici tracciati su un foglio richiede al bambino l’esercizio simultaneo di raffinate abilità: percezione, memoria di lavoro, attenzione, ragionamento visuo-spaziale, problem solving, coordinazione oculomotoria (Giani Gallino, 2008).

I primi studi si sono concentrati sul disegno infantile come indicatore dello sviluppo cognitivo e, in particolare, per la definizione del QI: ancora oggi la completezza della figura umana rappresentata e la ricchezza di dettagli sono elementi presi in considerazione per valutare l’intelligenza del bambino. In effetti, la rappresentazione grafica dipende in modo significativo dalla maturazione cognitiva del bambino che gli consente progressivamente migliori capacità, per esempio di prensione della matita o del pennarello, di pianificazione del disegno, di percezione dello spazio del foglio su cui imprimere segni, di traduzione della propria rappresentazione mentale in rappresentazione grafica (Oliverio Ferraris, 2012).

Questo sviluppo tende a seguire, quindi, un percorso progressivo che si manifesta con produzioni grafiche qualitativamente diverse, ma anche con un diverso atteggiamento del bambino rispetto alla sua produzione, in termini di intenzionalità. Tra i primi autori ad aver analizzato questo aspetto si cita Luquet (1995), che ha identificato quattro tappe di realismo grafico identificabili nell’infanzia, in corrispondenza alla teoria piagetiana dello sviluppo cognitivo (Fonzi, 2001). (continua ...)

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L'articolo completo in italiano è disponibile in allegato per gli abbonati.


Autrice: Antonella Bastone, pedagogista, docente a contratto presso l’Università di Torino, l’Università del Piemonte Orientale e l’Università di Genova.


copyright © Educare.it - Anno XXII, N. 4, Aprile 2022

Lettura ad alta voce: riscoprire la magia della narrazione

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lettura bambiniL’articolo sottolinea la valenza della narrazione nell’infanzia attraverso la lettura ad alta voce, intesa come esecuzione che interpreta il testo attraverso modalità di animazione vocale e gestuale in un clima di intimità e carico di risonanze affettive. I ritmi intensi e frenetici del vivere quotidiano impediscono spesso ai genitori di dedicare tempo alla lettura ad alta voce, che non avviene neppure a scuola, dove la lettura assume un carattere strumentale. Come fare per riscoprire la pratica della lettura ad alta voce? Quali strategie didattiche mettere in atto? L’articolo offre alcune risposte a questi interrogativi, anche sfruttando le potenzialità offerte dalle tecnologie digitali.

 

Introduzione

La narrazione, intesa come cultura dell’oralità, è antica quanto l’uomo: fin dall’antichità, in questo modo sono stati tramandati di generazione in generazione usi, costumi, tradizioni. Nelle civiltà orali–aurali, la narrazione aveva un valore magico–sacrale, carico di un’emotività che si è persa con l’avvento della civiltà del libro, che ha contribuito a rendere la cultura più organizzata e sistematica, più raffinata e formale, fino al nozionismo.

La lettura ad alta voce è un dispositivo pedagogico in grado di conciliare la fissità e la fisicità dell’oggetto–libro con la fluidità della voce umana e il calore delle emozioni da essa veicolate. Le storie, infatti, rappresentano per il bambino un’occasione privilegiata per coltivare la capacità tutta infantile di accostarsi alla realtà con meraviglia, arricchendola di contenuti immaginari. Attraverso il senso dello stupore, la narrazione suscita nei bambini il desiderio della scoperta e, per questo, ha una forte valenza conoscitiva. Essi sono capaci di un ascolto intenso ed entusiastico, pronti a recepire tutti gli stimoli forniti alla propria fervida fantasia. Si tratta di una vera e propria “emozione della mente”, in cui la componente cognitiva non può essere disgiunta da quella affettiva e che consente di guardare ed interpretare il mondo in modo più profondo e significativo (Grilli in Beseghi, 2008). Gli eventi ed i personaggi narrati apparentemente sono molto lontani dalla realtà, ma grazie al fascino del racconto e alla forza evocativa delle parole, il bambino può riuscire a cogliere segrete analogie con la propria vita interiore che viene, in tal modo, sollecitata, riconosciuta e compresa (Beseghi, 2008).

Da questa emozionante scoperta scaturisce l’interesse e la passione per i libri. Come spiega Livolsi (1986, p.51), «il piacere di leggere non è una scoperta che si fa da adulti…il lettore di libri è tale perché ha maturato un buon rapporto con l’oggetto-libro. Questo è sempre avvenuto tra l’infanzia e l’adolescenza. Dopo quel periodo i giochi sembrano fatti, e chi non ha fatto proprio l’oggetto-libro, ne resta privato per sempre».

La lettura come piacere negato

I libri per la prima infanzia sono attraenti anche per le immagini. Le illustrazioni attraggono lo sguardo infantile e lo guidano alla comprensione della storia narrata, avviando un personale percorso di conoscenza. Le immagini mostrate anticipatamente assolvono ad una funzione motivazionale e predittiva, in quanto consentono di elaborare congetture sui contenuti.

Secondo Casella (in Beseghi, 2008), la pregnanza dell’immagine consiste nella sua forza evocativa, nel suo fissarsi nella mente infantile arricchendola fino a costituire la sovrastruttura del suo immaginario. Le illustrazioni danno vita ad un racconto parallelo, una mappa semantica, che stimola la creatività del lettore, chiamato a dar vita a una nuova realtà, generata dal rapporto tra testo e immagine. La lettura ad alta voce consente all’adulto di guidare il bambino anche nella lettura dell’immagine.

A fronte della propensione naturale dei bambini allo stupore e alla meraviglia suscitati dalla lettura ad alta voce, purtroppo oggi si assistead un decremento di questa pratica. I dati statistici non sono confortanti: secondo la ricerca Scholastic’s “Kids & Family Reading ReportTM: 5th Edition” condotta negli USA nel 2015 (Scholastic 2015, consultabile nel sito https://eric.ed.gov), tra i 6-8 anni solo il 34% dei genitori legge ad alta voce ai propri figli e tale percentuale scende al 17% nella fascia d’età compresa tra 9 e 11 anni. Secondo la stessa indagine, tuttavia, l’83% dei ragazzi tra 6 e 17 anni apprezza ascoltare storie lette da un adulto.

La pratica della lettura ad alta voce è ostacolare dai ritmi frenetici della società odierna edagli impegni lavorativi e familiari. Inoltre, si sta insinuando sempre di più un certo scetticismo nei confronti di tale pratica, considerata come “obsoleta” di fronte ai nuovi media digitali. Si preferisce fornire ai bambini strumenti preconfezionati come cartoni animati e video appositamente realizzati per il loro intrattenimento. Tali prodotti soddisfano in qualche modo il bisogno di affabulazione dei bambini, ma rischiano di sfruttare il coinvolgimento emotivo dei piccoli a scopo commerciale, attraverso la pubblicizzazione di gadgets, giocattoli e articoli per l’infanzia.

Anche a scuola la pratica della lettura ad alta voce è trascurata, non tanto alla scuola dell’infanzia dove continua ad essere pratica frequente, ma alla scuola primaria, quando il leggere diviene pratica strumentale volta ad acquisire abilità di decifrazione e di riflessione sulla lingua. Non si tratta di mettere in discussione la lettura strumentale, che fa parte delle attività scolastiche, ma di affiancarle la lettura ad alta voce, condotta dall’insegnante in modo piacevole e coinvolgente.

L'articolo completo in italiano è disponibile in allegato per gli abbonati.


Autrice: Jennirer Blandina, Laureata in Scienze della formazione primaria e specializzata per le attività di sostegno didattico per la scuola primaria, insegna alla scuola primaria ed è interessata ad approfondire tematiche psicologiche e metodologico – didattiche anche nell’ottica dell’innovazione tecnologica ed in prospettiva neurodidattica.


copyright © Educare.it - Anno XXII, N. 1, Gennaio 2022

Il ruolo e le manifestazioni del pensiero magico nella prima infanzia

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gioco simbolicoL’articolo esplora le funzionalità evolutive del pensiero magico, modalità caratteristica della prima infanzia con cui il bambino si rappresenta e si spiega la realtà. In particolare, vengono analizzati i benefici evolutivi di tre modalità con cui facilmente si esprime il pensiero magico: il gioco simbolico, il disegno ed il racconto di fantasia.

 

Introduzione

La curiosità e il desiderio di esplorare la realtà circostante, cercando di comprenderne i meccanismi sottostanti e il loro funzionamento, sono attitudini che caratterizzano l’essere umano fin dalla nascita e stanno alla base dei processi di scoperta del mondo in tutte le fasi della vita. Il cucciolo d’uomo nasce con questa inclinazione: come un piccolo filosofo pone domande al mondo, senza dare nulla per scontato, insaziabile nella sua fame di conoscenza e, come piccolo un ricercatore, valuta criticamente ogni nuova informazione, sperimenta conseguenze ed ipotesi, usa il pensiero creativo e il ragionamento logico per tentare di risolvere i problemi che incontra (Bastone, 2021).

Nella prima infanzia il pensiero magico prevale su quello razionale ed è uno straordinario strumento con cui il bambino si cimenta a decifrare il mondo. Già Piaget aveva rilevato, nella sua teoria stadiale, la tendenza del bambino a ricorrere all’immaginario e alla simbolizzazione nelle sue prime fasi dello sviluppo cognitivo. A questo proposito, Piaget parla di animismo (attribuzione di vita e coscienza a molti elementi del mondo naturale) e il finalismo (interpretazione degli eventi naturali come spinti da causalità psicologica). Tuttavia, lo stesso Piaget ha considerato queste manifestazioni come passaggi verso altre tappe dello sviluppo, fino al raggiungimento del pensiero logico-razionale caratteristico della piena maturità.

Questa posizione adultocentrica prevale spesso ancora oggi e conduce ad una banalizzazione delle strategie cognitive utilizzate dal bambino per rappresentarsi e comprendere il mondo. Si pensi a questo proposito alla tendenza a definire “scarabocchi” i primi tracciati grafici del bambino, un termine che, nel linguaggio comune è generalmente utilizzato in maniera dispregiativa o comunque per indicare una produzione grafica di scarsa qualità; oppure a considerare come ingenuità gli elaborati giochi di finzione dei bambini e, più in generale, il ricorso alla fantasia del per spiegare eventi o gestire le proprie emozioni. Non è raro che l’adulto osservi e ascolti con sospetto e perplessità, o addirittura scoraggi il ricorso all’immaginario del bambino, come forma di irrazionalità da cui sarebbe bene uscire al più presto, per approdare velocemente alle forme serie e rassicuranti del pensiero logico e razionale.

Gli adulti sono spesso incapaci di riconoscere la raffinatezza dei metodi infantili di adattamento a realtà e sottovalutano il ruolo che l’immaginario svolge nella crescita, per esempio nella soluzione di diversi compiti cognitivi, affettivi e sociali. In molti casi il ricorso all’immaginario per il bambino è equivalente all’esperienza vissuta per gli adulti, cui essi si riferiscono per avere un orientamento sull’azione futura: il bambino ricorre a rappresentazioni mentali immaginarie che hanno lo scopo di anticipare il futuro, fornendo così un modello di riferimento all’azione.

Mondi immaginari entro cui crescere

Ciò che più sorprende nel bambino è la sua capacità di entrare e uscire a proprio piacimento da uno o più mondi di sua invenzione, all’interno dei quali crea contesti, situazioni, personaggi con cui interagisce con molta serietà. Nel bambino l’immaginario è un vero e proprio motore di crescita: integrare la realtà con la fantasia, immaginare opzioni possibili e magiche di scenari, azioni e comportamenti, gli fornisce una gamma inesauribile di sperimentazioni funzionali al suo sviluppo (Giani Gallino, 1990).

Nella prima infanzia, il pensiero magico convive naturalmente con le spiegazioni razionali. Il magico, infatti, non è un’interpretazione falsa, ma aggiunge con la fantasia qualcosa a cui il pensiero non può arrivare; può tornare utile anche quando l’adulto deve comunicare situazioni o esperienze difficili da capire per il bambino o emotivamente pesanti. In altre parole, il pensiero magico offre la possibilità di vedere il mondo da prospettive diverse, è funzionale ad esprimere e gestire le emozioni associate agli eventi e alle esperienze vissute (Bastone, Ravaglia, 2021).

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L'articolo completo in italiano è disponibile in allegato per gli abbonati.


Autrice: Antonella Bastone, pedagogista, docente a contratto presso l’Università di Torino, l’Università del Piemonte Orientale e l’Università di Genova.


copyright © Educare.it - Anno XXII, N. 1, Gennaio 2022

La lettura precoce condivisa: un nutrimento cognitivo, affettivo e relazionale

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lettura precoceL’articolo esplora i benefici della lettura precoce da un punto di vista cognitivo, affettivo ed educativo, avvalendosi di recenti contributi delle neuroscienze. Inoltre, offre alcuni suggerimenti pratici per stimolare nei bambini la lettura precoce attraverso la relazione con gli adulti di riferimento.

 

Introduzione

La narrazione può essere definita come il processo attraverso cui strutturiamo l’esperienza in unità temporalmente significative, attribuendo loro ordine e relazioni (Batini, Fontana, 2010).  L’essere umano (Gottschall, 2018) utilizza la narrazione per rappresentarsi interiormente la realtà percepita, per comprenderla attraverso connessioni crono-causali e per condividere con altri interlocutori la propria interpretazione dei fatti e i relativi vissuti interiori. Il pensiero narrativo è una forma di organizzazione psichica universale, disponibile a tutti gli esseri umani indipendentemente dalla cultura di appartenenza, che consente di sistematizzare e interpretare le informazioni relative ai fatti e all’agire umano, rendendoli interpretabili e, quindi, dotati di senso (Levorato M.C, 2003). Non solo: l’esposizione precoce alla narrazione, sotto forma di storie ascoltate, la familiarizzazione con la struttura narrativa e la capacità di padroneggiarne le tecniche stimola importanti sviluppi a livello cognitivo, emotivo e relazionale.

La narrazione come esplorazione della realtà

Per Bruner (2005), tutti gli esseri umani possiedono due modalità di pensare, ognuno dei quali fornisce un metodo particolare di ordinamento dell’esperienza e costruzione della realtà: da un lato il pensiero scientifico, che si esplica attraverso le argomentazioni logiche, ricorre a categorizzazioni e concettualizzazioni, si serve di procedure atte ad assicurare la verificabilità empirica. Dall’altro, il pensiero narrativo, che si esplica attraverso il racconto. Esso ha la capacità di stimolare l’immaginazione di chi ne fruisce e possiede tre caratteristiche: creare significati impliciti oltre che espliciti, che favoriscono il grado di libertà interpretativa dell’autore, proponendo una rappresentazione soggettiva, ossia filtrata dalla coscienza dei personaggi, e creando una pluralità di prospettive.

Bruner parla a questo proposito di opacità referenziale: la narrazione non è una descrizione obiettiva dei fatti, ma una rappresentazione soggettiva dell’evento. Ciò che acquista importanza è il significato che viene attribuito a quella realtà da parte del soggetto; nelle storie non si ha a che fare con solide certezze, ma con l’infinita ricchezza delle possibilità umane. Il cosiddetto storytelling – ossia l’attività del narrare - è parte dell’esistenza stessa: noi pensiamo il mondo in forma narrativa e apprendiamo a farlo da bambini.

A partire dall’infanzia, la nostra mente tende a correlare gli eventi sulla base di connessioni crono-causali di episodi: quando osserviamo, ascoltiamo o raccontiamo qualcosa classifichiamo la trama episodica sulla base di un confronto con un modello stereotipico derivato da esperienze simili registrate in memoria. Ogni nuova esperienza viene valutata sulla base di schemi pregressi: frames (cornici concettuali rappresentanti gli oggetti statici o le relazioni che costituiscono l’evento) e scripts (rappresentano le micro-sceneggiature dell’evento, ossia gli aspetti dinamici con cui evolve la sequenza degli eventi). La stessa memoria autobiografica vive di frames e scripts che ci consentono di capire che cos’è l’evento che sto vivendo e articolarlo in una sequenza ordinata (Calabrese, 2013).

Pertanto, le narrazioni costituiscono una sorta di allenamento cognitivo per interpretare il mondo secondo aspettative comuni o per rielaborarle a fronte di cambiamenti: fiabe, romanzi e narrazioni di fantasia più in generale si sono rivelati preziose palestre mentali per l’addestramento delle giovani generazioni all’interpretazione degli eventi.

Sul piano neurocognitivo, la fantasia rappresenta l’esercizio della corteccia prefrontale e l’applicazione del pensiero ipotetico-deduttivo a oggetti, eventi, schemi d’azione della vita quotidiana. La funzione del pensiero ipotetico è di immaginare rappresentazioni alternative a quanto già avvenuto, simulare ipoteticamente gli eventi futuri servendosi della banca dati memorizzata nel nostro cervello a partire dalle esperienze precedenti (Calabrese, 2013).

Il racconto di fantasia, proprio come il gioco simbolico a cui i bambini sono naturalmente inclini nella prima infanzia, non rappresenta banalmente una forma di evasione dalla realtà, ma un vero e proprio esercizio di problem solving funzionale, fondamentale per lo sviluppo integrale del bambino. Esiste una sorta di grammatica universale del racconto di fantasia, costituito da un personaggio protagonista che affronta, con diverse strategie, una situazione difficile iniziale.

La fiaba, quale trama arcaica e originaria del racconto di fantasia, rappresenta l’esempio per eccellenza di questo modello di problem solving, di cui la ben nota analisi morfologica di Propp  (2000) ha individuato gli elementi di ricorrenza (le cosiddette funzioni): il problema iniziale che caratterizza l’avvio della narrazione fiabesca, i tentativi di superamento del problema attraverso l’adozione di strategie, l’uso di strumenti e doni fatati, l’incontro con aiutanti magici, le complicazioni messe in atto da personaggi nemici e in conclusione il fatidico lieto fine. Il racconto di fantasia fornisce così un archivio mentale di situazioni complesse unitamente a una serie di soluzioni operative, seppur immaginarie.

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Autrice: Antonella Bastone, pedagogista, docente a contratto presso l’Università di Torino, l’Università del Piemonte Orientale e l’Università di Genova.


copyright © Educare.it - Anno XXI, N. 10, Ottobre 2021

L'educazione dal concepimento alla nascita

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Il periodo della gravidanza è un periodo carico di emozioni di ogni tipo che coinvolgono non solo la madre ed il padre in attesa ma anche la famiglia di appartenenza di entrambi, che condivide con la coppia le gioie ed i dubbi che l'attesa di un bambino possono creare. Spesso molte donne amano condividere i propri stati d'animo per essere rassicurate, ma capita altrettanto spesso che desiderino creare un momento esclusivo di comunicazione col proprio bambino domandandosi se, dal posto incantato in cui si trova, la stia ascoltando. Fai login per leggere l'articolo completo

Senti chi (non) parla: riflessioni sul legame tra esperienze relazionali precoci e ritardo dello sviluppo linguistico

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Gli esseri umani vengono al mondo con una specifica predisposizione a percepire i suoni del linguaggio; non esiste nessun altro stimolo uditivo che percepiamo con lo stesso grado di precisione nella medesima unità di tempo. Tutti i bambini, tranne quelli che presentano forme più o meno accentuate di ritardo cognitivo (o articolatorio/motorio), entro i tre - massimo quattro - anni di età, acquisiscono la piena capacità di comprendere e produrre il linguaggio.

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Vedere per crescere: il significato funzionale e relazionale della stimolazione visiva nel neonato

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Il bambino, così caratteristico nella sua paffuta rotondità, nella goffaggine del movimento, nel capo illuminato dai grandi occhi tondeggianti, risveglia nell’adulto sentimenti di tenerezza e desiderio di accudimento, in risposta ad un istintivo atteggiamento di protezione nei confronti di ogni essere vivente con tali fattezze da "cucciolo".

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L'importanza dell'acqua nello sviluppo psico-fisico del lattante

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Ogni epoca educa e forgia la propria prole in relazione alle esigenze politiche, sociali e culturali dei tempi. Nell'antica Grecia, Sparta educava i suoi figli alla guerra e null'altro poteva sembrare utile alla comunità se non creare soldati forti e coraggiosi. Appena nato, il neonato veniva violentemente sbattuto per terra. Questo era il suo battesimo, il benvenuto al mondo, un procedimento rapido e diretto per saggiare la "tempra" del nuovo nato.

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Cammina l’uomo quando sa bene dove andare

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L’aforisma che fa da titolo a questo articolo ci giunge da S. Francesco d’Assisi e mi permetto di prenderla in prestito dalla sua saggezza per sviluppare un tema introdotto in un precedente contributo, intitolato “La terapia del canguro”: la genitorialità consapevole in gravidanza (e oltre). Già avevo accennato all’importanza del contatto affettivo ed affettuoso tra i genitori ed il feto, che è una Persona “in divenire”, caratterizzata da competenze comunicative e relazionali specifiche, in via di sviluppo, ma già reali e tangibili.

La gravidanza rappresenta una risorsa importante per la coppia e per il nascituro, è un’occasione di conoscenza reciproca e di consolidamento della relazione coniugale, è un’opportunità di crescita personale e costituisce l’esordio della vita psicofisica di un nuovo individuo.

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La "terapia del canguro"

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Nei mesi scorsi è stato pubblicato un interessante articolo sulla rivista Pediatrics, relativo ai risultati di uno studio condotto da alcuni ricercatori israeliani sugli effetti benefici del contatto pelle a pelle tra la mamma e il neonato subito dopo la nascita.

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Dolce fermezza ed educazione

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Oggigiorno i giovani non vengono più allevati, ma si limitano a crescere [1]. Abbiamo disimparato l’arte di educare, le norme comuni sono andate perdute e si è diffusa la convinzione che i bambini cresceranno comunque, in un modo o nell’altro. Stiamo navigando senza bussola in mare aperto [2]. Bernhard Bueb esordisce con queste provocazioni nel proprio testo “Elogio della disciplina”, recentemente pubblicato.

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