- Categoria: Didattica
- Scritto da Antonio Conese
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La genesi dei concetti matematici secondo Piaget (conclusioni)
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Nella prima parte di questa serie di contributi avevamo posto alcuni interrogativi circa l'attualità e le problematicità delle ricerche di Jean Piaget, a cui proviamo a dare risposta, a seguito degli approfondimenti elaborati.
Per iniziare: le strutture mentali hanno una natura esclusivamente logica – come, secondo alcuni, sembrerebbe sostenere Piaget - oppure bisogna orientarsi decisamente verso la concezione della multifattorialità dello sviluppo mentale?
Ad esempio Howard Gardner, noto per la teoria delle intelligenze multiple, sostiene che Piaget abbia indagato unicamente “solo” una delle varie forme di intelligenze, quella logico-matematica con attitudini scientifiche. Al riguardo, si potrebbe facilmente sostenere che tale rilievo – peraltro, per nulla nuovo ed originale - risulta “stucchevole”: Piaget non ha mai sostenuto che le sue ricerche fossero orientate ad indagare la totalità della struttura della personalità del soggetto in età evolutiva, avendo avuto sempre la piena consapevolezza ed intenzionalità in ordine al “focus” specifico delle proprie indagini.
Strutturalismo psicologico
Può lo strutturalismo psicologico essere ritenuto il percorso metodologico più valido per descrivere lo sviluppo cognitivo dell’uomo?
Come sappiamo, le ricerche di Piaget sono volte a mostrare che l’intelligenza è precisamente la forma di equilibrio a cui tendono tutte le strutture che derivano la propria formazione dalla percezione, l’abitudine ed i meccanismi senso-motori elementari. Come abbiamo posto in evidenza, l’esito ultimo dello sviluppo mentale tende all’instaurazione di stati di equilibrio sempre più perfezionati che portano al raggiungimento della maturità organica e della sistemazione logica delle operazioni mentali della mente adulta.
Tale processo evolutivo viene descritto da Piaget alla luce del concetto di “stadio”: esso è contraddistinto dalla maturazione di una specifica struttura cognitiva sottesa ai cambiamenti delle conoscenze nel corso delle varie fasi dello sviluppo, pur in presenza dei “décalages” cognitivi che abbiamo descritti nella Parte II e nella Parte III.
Sappiamo che Piaget individua cinque criteri per l’impiego di questo concetto nello studio dello sviluppo mentale: gerarchizzazione, integrazione, consolidamento, strutturazione, equilibrazione.
Il primo criterio, definito della gerarchizzazione, sancisce esattamente la necessità di un ordine fisso di successione dei diversi livelli che costituiscono la sequenza dello sviluppo e rendono conto degli stadi (o fasi) di sviluppo successivi di equilibrio sempre più avanzati. Essi dipendono dal processo dialettico di scambi tra organismo ed ambiente e che port dall’intelligenza sensorio-motrice all’intelligenza intuitiva o pre-operatoria, allo stadio delle operazioni concrete e a quello delle operazioni formali.
A Piaget talvolta si attribuisce la tesi secondo cui il passaggio da uno stadio al successivo sia universalmente predeterminato e si verificherebbe ad età fisse, valide per tutti i soggetti: eppure tale tesi risulta lapalissianamente posta in discussione dalla comune esperienza ed osservazione “empirica”; sicché - ci permettiamo di affermare - attribuire la paternità di tale tesi a Piaget risulta piuttosto “naive”.
Ben diversa è la questione dell'ordine fisso di successione degli “stadi”: qui le ricerche “cross-cultural”, volte ad indagare il ruolo delle differenze tra le varie socio-culture, sembrerebbero dare ragione allo Studioso ginevrino, seppure nello stesso tempo mostrano – a differenza dell'orientamento piagetiano - il ruolo decisivo delle condizioni ambientali, in particolare della scuola, nella maturazione delle strutture cognitive (1).
Risulta interessante rilevare che, nell'ambito delle ricerche “cross-cultural”, il modello piagetiano sembrò addirittura mostrare che i bambini neri di alcune società africane non arrivavano, o arrivavano molto in ritardo, alle forme di intelligenza più astratte, conclusioni poimesse in discussione dagli studi sulla "Everyday Cognition" di Lave e Clancey.