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Mediazioni e mediazione familiare: storia di una tradizione antica - La mediazione familiare

La mediazione familiare

La diffusione e la trasformazione concettuale della cultura della mediazione nell'ambito degli interventi familiari risale agli inizi degli anni '50.
La Gran Bretagna e gli Stati Uniti hanno dato il via a questa evoluzione culturale.
Infatti, fino ad allora nel 70% delle cause matrimoniali si attuava un intervento di conciliazione finalizzato all'incoraggiamento della ri-conciliazione, della riunione delle parti per evitare il divorzio. Tuttavia, poiché la percentuale di questi aumentava, intorno agli anni '70 i funzionari addetti al probation service, ossia i conciliatori (che altro non erano che ecclesiastici, donne-poliziotto o cancellieri di tribunali) abbandonarono l'attività di consulenza ri-conciliatoria per metterne in atto una mediativa; si iniziò, dunque, ad usare la conciliazione come processo in cui una terza persona imparziale aiutava i membri della famiglia in rottura a comunicare in modo più pacifico e funzionale al raggiungimento di un accordo riguardante la situazione patrimoniale, i figli o quant'altro.
Il Rapporto Finer sulle famiglie monogenitoriali del 1974 raccomandava, infatti, che la conciliazione/mediazione fosse considerata la via privilegiata per condurre le coppie al raggiungimento di un accordo senza un processo.
In ambito familiare è del 1996 il Family Law Act che, in Inghilterra e in Galles, promuove la mediazione familiare per risolvere i conflitti riguardanti le questioni relative alle finanze, alle proprietà, alla gestione dei figli.
Lo scopo della mediazione coincide con la tecnica: generare buonsenso, ragionevolezza e ristabilire una comunicazione circolare per trovare quel che è comune tra gli opposti.

La mediazione, insieme al negoziato (diretto e indiretto) e all'arbitrato, fa parte delle cosiddette alternative dispute resolution ma con evidenti differenze: nel negoziato diretto le parti trovano direttamente tra loro l'accordo che viene, successivamente, fatto approvare dal tribunale o dall'autorità amministrativa; in quello indiretto, invece, il conflitto è tale per cui è necessaria la nomina di legali rappresentanti che arrivano all'accordo per i loro clienti; nell'arbitrato la decisione è presa direttamente dall'arbitro ed è vincolante, non ci sono in genere consultazioni con le parti.
Nella mediazione un terzo imparziale si cala nel conflitto e coglie quegli aspetti di condivisione tra le parti che sono comunque presenti anche nella situazione di radicalità delle posizioni, le isola e le mette in circolo facendo sì che si possa giungere a compromessi accettabili per ognuno.
La scelta del termine non è casuale: i mediatori sono imparziali nel senso che non si pongono da nessuna di parte, sono equidistanti (o "equivicini" se si preferisce), tuttavia non sono neutrali, non potrebbero esserlo, dal momento che hanno in sé dei valori. A questo proposito, Dingall e Greatbatch (1991) sostengono che "qualunque terza parte non può evitare di influenzare... il contenuto dei... negoziati. Il mediatore interviene selettivamente, secondo modalità che possono trasmettere o rinforzare certi valori".

In America, ma ormai anche in Europa (soprattutto in Inghilterra), la cultura della mediazione è abbastanza diffusa; per quel che riguarda l'Italia, è solo da qualche anno che si inizia a parlare di mediazione, soprattutto in ambito familiare (Parkinson, 1997).
Tuttavia, la cultura della mediazione come un concetto generale è una proposta di superamento del conflitto tra due posizioni apparentemente inconciliabili che si applica anche ad altri ambiti, come, ad esempio, quello della politica. Tale cultura si distanzia sia dal pensiero antico che da quello moderno per situarsi nella dimensione della post-modernità intesa "non in senso cronologico... come di un inizio che può coincidere solo con la fine o il dissolversi della modernità" (Bauman, 1996, p. 16), ma come categoria a-temporale, cioè come modalità critica di guardare all'età moderna che convive con la modernità stessa. La mediazione si differenzia dalle pratiche antiche dal momento che non si inserisce in un contesto comunitario, ma in una società: mentre la comunità, infatti, è costituita da un insieme condiviso di valori, di credenze e di stili di vita, la società è caratterizzata da un pluralismo di valori e di sistemi di vita diversi, alternativi.

L'obiettivo più ambizioso della mediazione, dunque, non è quello di proporre nuovi valori, ma di mettere in comunicazione quelli portati da ogni individuo. In ambito familiare, la mediazione lavora sulla responsabilità delle persone coinvolte ad assumere degli impegni come sintomo della volontà di cambiamento; è importante sottolineare l'aspetto progettuale della responsabilità, cioè la proiezione verso il futuro (Foddai, 2003).

Per concludere, possiamo fornire una lettura in termini psicologici degli effetti degli interventi di mediazione e sostenere che questi trasformano una gestalt disfunzionale in una più efficiente e adattativa agendo in un campo di azione dinamico e potenzialmente creativo come quello del conflitto, dove le parti sono portatrici di valori e idee diverse, la mediazione facilita la comunicazione riducendo i toni del conflitto e interrompendo la reiterazione delle modalità distruttive di comunicare, esalta la diversità delle posizioni sottolineandone le potenzialità rispettive e i punti di convergenza, aiuta le parti a trovare strategie di problem solving più efficaci delle precedenti.

 


Indicazioni bibliografiche

  • Bauman Z. (1996), Le sfide dell'etica, Feltrinelli;
  • Foddai M.A. (2003), Mediazione: oltre l'antico e il moderno. Fonte Internet: www.dirittoestoria.it;
  • Humphreys J.C. (1984), Zen Buddhism. London, Unwuin Paperbacks. Pag. 158;
  • Kruk E. (a cura di) (1997), Mediation and conflict resolution in social work and the human services. Chicago, Nelson-Hall;
  • Zagrebelsky G. (1992), Il diritto mite. Einaudi, p. 11-12;
  • Parkinson L. (1995), Separazione, divorzio e mediazione familiare. Erikson;
  • Parkinson L. (1997), La mediazione familiare. Erikson;
  • Morineau J. (2000), Lo spirito della mediazione. F.Angeli, pag. 61; pag. 40;
  • Kruk E. (a cura di) (1997), Mediation and conflict resolution in social work and the human services. Chicago, Nelson-Hall.

Autore: Laura Tiberi, laureata a Trieste in psicologia, con curriculum neuropsicologico. Attualmente iscritta alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia e Psicosomatica dell'ospedale Cristo Re di Roma. Ha conseguito un Master in Mediazione Familiare e lavora in ambito privato come psicologa e mediatrice familiare.


copyright © Educare.it - Anno XI, N. 11, ottobre 2011