L'inverno persiste, non vuole andare via, genera il rimpianto di tempi passati e di stagioni vere che scandivano il tempo ideale. Cristalli di sole sparsi cercano conferme di un ritorno, poi svaniscono allontanando l'attesa. Sono tempi malati che viviamo dentro e fuori di noi, capolinea di un traguardo senza vincitori, apparente normalità di un percorso obbligato.
Guardiamo il presente con occhi distratti, ci sentiamo vittime di un tempo ingrato che disegna panorami sfuocati nel grigiore della quotidianità, confondendo certezze e desideri. Non è ancora primavera se il tempo ideale e reale, il presente e il futuro ci sorprendono impreparati e le domande restano sospese in una ragnatela di pensieri stanchi. Forse siamo malati anche noi di una normalità senza sussulti, di un tempo che capovolge significati e stagioni, tra le poche certezze che resistono, alla deriva. Aspettiamo il sole e il suo calore per sciogliere i nodi di una lunga attesa, per ritrovare il senso della vita reale che è coperto da una nebbia sottile, un paesaggio virtuale in cui cerchiamo protezione e sicurezza. Se i tempi malati, dentro e fuori di noi, continuano a generare incertezze e paure, c'è sempre il profondo desiderio di colorare il dubbio, di conoscere e interpretare la realtà quardando oltre le apparenze, i falsi miti di parole e immagini che spesso lasciano il vuoto e alimentano le distanze.
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