- Categoria: Racconti
- Scritto da Ilenia Bartolini
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The animals town
C'era una volta, in un luogo lontano, dietro le montagne, un paese abitato da soli animali. Il suo nome era Animals Town. Il sindaco era un vecchio gufo di nome Aristotele e sua moglie, una tartaruga che aveva già superato da un po' i cento anni, si chiamava Artemisia. I due saggi governavano la città come più gli aggradava. Aristotele era una grande lettore e nutriva un'insana passione per il libro La fattoria degli animali di George Orwell. Aveva preso spunto da quel testo per imporre agli abitanti della città delle regole.
Esposto davanti al municipio un grande manifesto dominava sulla piazza. Lì erano enunciate alcune leggi inderogabili che tutti gli animali della città dovevano rispettare, onde evitare di essere cacciati.
La prima regola diceva: Tutti gli animali devono assolvere al ruolo per cui sono venuti al mondo e non possono deviare in alcun modo da questa indole naturale: le galline ed altri volatili devono covare le uova, le mucche devono trascorrere le giornate a pascolare e a produrre latte, i castori devono occuparsi di fornire legname, gli animali di piccola taglia come topi, talpe, tassi devono aiutare gli altri animali a fare provviste per l’inverno, trasportando piccoli frutti quali: noci, castagne, datteri, ghiande per i maialini, ecc.
Ogni animale doveva essere produttivo per la comunità; non si lasciava spazio alle passioni e attitudini personali.
Il piccolo Orso Dodo era stato fatto prigioniero per alcuni anni dai proprietari di un circo vicino e costretto a ballare per degli spettatori ogni santa sera. “Costretto” si far per dire! L’orsacchiotto, istruito fin da piccino da una ballerina del circo, aveva imparato molto bene a ballare balli di tutti i tipi e si divertiva un mondo. Aveva iniziato, crescendo, a nutrire una vera passione per questa arte e non ne poteva fare a meno. Soffriva solo per gli estenuanti ritmi a cui era sottoposto: doveva esibirsi tredici, quattordici ore al giorno senza fare mai una pausa. Era fortemente sfruttato e veniva lasciato spesso senza mangiare per giorni, oppure gli veniva servito un misero pasto del tutto insufficiente a saziare la sua fame ormai cronica. Per questo motivo era riuscito a fuggire e a denunciare l’insano trattamento a cui era stato sottoposto alle autorità. Il piccolo era stato direttamente riportato dai genitori, i proprietari del circo arrestati e costretti a chiudere la loro attività.
Dodo era felice di essere tornato a casa. “Come sono felice di rivederti papà!” disse all’anziano orso Leonardo. “Mi siete mancati così tanto” sussurrò con le lacrime agli occhi mentre abbracciava Leonardo e mamma orsa Mery.
Dopo qualche tempo il piccolo cominciò a nutrire il desiderio di ballare. I suoi genitori lo avvertirono del regolamento imposto dal sindaco. Dodo pensò allora di andare a parlare con il vecchio gufo. “La prego signor Aristotele, mi consenta di ballare e di poter dare lezioni di ballo nel tempo libero agli altri animali !”.
“Assolutamente no!” rispose Aristotele irremovibile. “Qualsiasi iniziativa personale rappresenta il focolaio dell’insurrezione. Ci vuole ordine ragazzo, ordine, umiltà! Dove andremo a finire di questo passo?” continuò brontolando a bassa voce. “Se ti concedessi il permesso di fare questa cosa, creerei un precedente e così ogni abitante di Animals Town vorrebbe imitarti, nessuno lavorerebbe più e in città regnerebbe disordine ed anarchia” disse il gufo con aria indispettita.
“Ma signor Aristotele, lo faremmo nel tempo libero! La prego, per favore!” supplicò l’orsetto.
“Basta!”aggiunse Aristotele, “la decisione è presa. Se dovessi anche solo sentirti parlare un’altra volta di questa cosa, se qualcuno dovesse darmene notizia o qualche abitante dovesse anche solo vederti ballare in un luogo pubblico, sarai immediatamente scortato fuori da questa città e non portai più rivedere la tua famiglia”.
Dodo tornò a casa tremendamente afflitto da questa situazione; non poter coltivare la sua passione cominciò a consumarlo. Passarono giorni, settimane e l’orsetto si rifiutava perfino di mangiare. Se ne stava da solo nella sua camera a piangere. Ogni tanto faceva dei passi di danza, ma non c’era nessuno con cui potesse condividere la sua passione, nessuno ad ammirarlo, ne tanto meno ad incoraggiarlo.
Il suo migliore amico Ughetto, un ranocchio che abitava nello stagno vicino alla sua casa, gli diceva: “Dodo, perchè invece di ballare non vieni a nuotare con noi ranocchietti. Vieni di sera quando non ti vede nessuno. E’ divertente sai? Noi ranocchi lo facciamo per vivere. Nell’acqua troviamo tanti insetti con i quali nutrirci, ma tu potresti imparare il nuoto acrobatico, ti divertiresti e la sera non ti vedrebbe nessuno! Dai, prova!” concluse Ughetto con sguardo sincero e speranzoso, preoccupato per il suo amico.
“Ti ringrazio Ughetto, ma tu non puoi capire. La passione è un qualcosa che ti viene da dentro e ti consuma come un fuoco. Io amo ballare e non c’è niente al mondo che mi riesce meglio. Sento il tempo, sento la musica e quando mi muovo sotto le sue note mi sembra di volare; tutti i pensieri brutti sembrano dissolversi. Il mondo sembra assumere un altro colore e mi sento libero e leggero” spiegò Dodo.
“Caspita Dodo,... sembra meglio di una scorpacciata di mosche al chiaro di luna! Io non ho mai provato queste cose... questa è arte. Vorrei aiutarti amico mio, ... ma come?” rispose Ughetto.
Dodo non ebbe il tempo di rispondere. Sentì degli spari e si affacciò dalla finestra della sua camera. Vide papà Leonardo e mamma Mery incatenati insieme agli altri animali del villaggio e trasportati con delle camionette da qualche parte. C’era anche il sindaco e sua moglie. Dodo riuscì a scappare insieme ad Ughetto dal tetto della sua casa. Mentre scendevano dal retro dell’abitazione, Ughetto saltando a tutta velocità, si avvicinò alla cavalla Rina, anch’essa incatenata, e gli chiese: “Ma cosa sta succedendo?”. “Piccolo anfibio, ti consiglio di scappare. Degli uomini cattivi hanno occupato la città e vogliono uccidere tutti gli animali, macellarli e venderli e di alcuni di noi fabbricarne delle pellicce. Ci stanno portando alla vecchia rimessa delle barche a circa dieci miglia da qui. Ti consiglio di scappare finché sei in tempo” concluse l’equino.
Ughetto si recò subito da Dodo, nascosto dietro il fienile, per esporgli l’accaduto.
Dodo, insieme ad Ughetto, uscì di corsa furtivamente, cercando di non farsi notare. In fondo alla fila di camionette riconobbe i brutti ceffi del circo che qualche anno prima lo avevano imprigionato e maltrattato. Allora disse ad Ughetto: “Amico mio, è giunto il momento di separarci. Prima hai detto che volevi aiutarmi. Allora ti chiedo di fare per me una cosa. Porta questo messaggio che ti sto scrivendo alla vicina città di Justice Ville; lì convivono in pace uomini ed animali. Vai alla polizia e cerca lo sceriffo Boris, è un anziano ippopotamo con i baffi. Digli che questo messaggio glielo manda l’orso Dodo. Lui ci aiuterà. Mi ha già salvato la vita una volta, quando mi trovavo al circo. Sono certo che ci aiuterà di nuovo. Poi conducilo al luogo che sai” concluse Dodo.
“E tu dove andrai amico mio. Ho anche paura a chiedertelo!” rispose Ughetto.
“Devo salvare la mia famiglia e gli altri animali!” continuò l’orsetto.
“ E come farai?” chiese Ughetto.
“Ancora non lo so, ma troverò il modo!” concluse Dodo.
I due amici si salutarono con la promessa che si sarebbero presto rivisti. Ognuno andò per la sua strada: Ughetto a cercare lo sceriffo Boris e Dodo a tentare l’impossibile, salvare gli animali.
Dodo attraversò il bosco; conosceva una scorciatoia per poter arrivare alla vecchia rimessa delle barche prima dei due ceffi e di tutti gli animali. Dopo ore di cammino e brevi tragitti in barca riuscì a raggiungere la meta. Durante il percorso si era fermato alla vecchia quercia e aveva tirato fuori da un nascondiglio il suo vecchio registratore. Lo aveva messo lì qualche giorno prima. Era in quel luogo che spesso si recava quando aveva voglia di ballare ed esternare la sua passione, lontano da tutto e tutti. Arrivato alla vecchia rimessa scorse da lontano le luci delle torce dei brutti ceffi. Appena i due cattivi arrivarono alla rimessa, lui palesò la sua presenza.
“Lasciate andare i miei amici, ve lo ordino!” disse l’orsetto. “Chi ha parlato? Fatti vedere....chi sei? Sei troppo vigliacco per mostrarti?” disse uno dei due uomini. A quel punto Dodo accese le luci della rimessa e si mostrò ai due cattivi. Accese il registratore e, al suono di una melodia, cominciò a ballare una mazurka.
I due uomini guardarono stupefatti l’orsetto. Una canzone si susseguiva all’altra e i due ceffi osservavano rapiti le esibizioni di Dodo. Dopo circa mezz’ora uno dei due uomini chiese all’altro: “Marvin, ma quell’orso non ti è familiare?”. L’altro rispose: “Hai ragione Mortimer.... un momento.... non è l’orso del circo che qualche hanno fa ci ha incastrato?”. “È vero... è proprio lui...” rispose Marvin e continuò “Adesso ti daremo una bella lezione guastafeste che non sei altro. Ci stai facendo perdere tempo per salvare questi miserabili animali. Ma non riuscirai nell’intento, lurido ammasso di peli! Anzi, morirai anche tu” continuò.
Detto fatto Marvin tirò fuori dal suo zaino una frusta e cominciò ad infliggere sferzate al povero Dodo, continuò e continuò fino a ridurlo in fin di vita. All’improvviso si sentì un rumore di sirene. Cinque auto della polizia stavano arrivando.
A capo della fila c’era lo sceriffo Boris insieme ad Ughetto.
Boris arrestò immediatamente i due ceffi che erano evasi di prigione, liberò gli animali e condusse Dodo all’ospedale di Justice Ville. Lì ebbe modo di rimettersi e recuperare le forze.
Quando tornò a Animals Town, gli abitanti della città lo accolsero con una grande festa. Il sindaco Aristotele si dimise dal suo ruolo dicendo: “Nessuno meglio di te può rappresentare la città di Animals Town. Tu hai salvato la vita di tutti noi. Noi tutti ti siamo debitori, per sempre. Ti ringraziamo dal profondo del nostro cuore. Grazie a te e alla tua arte!
“Evviva il sindaco Dodo!! Evviva!” acclamarono tutti gli animali.
Da quel momento l’orso concesse a tutti gli animali di poter coltivare le proprie passioni artistiche e realizzare i propri sogni.
Dodo governò come sindaco della città per molti anni, cercando di stabilire leggi giuste, di essere buono. Fece togliere quell’odioso regolamento che dominava da sempre sulla piazza e lo fece sostituire con una targa con su scritto: “L’arte è vita. L’arte è libertà”.
Autore: Ilenia Bartolini insegnante di sostegno di ruolo nella scuola primaria, attiva nell’approfondire tematiche inerenti alla disabilità e nell’insegnamento dell’italiano L2, da qualche anno ama scrivere racconti ed articoli di interesse pedagogico-didattico.
copyright © Educare.it - Anno XIV, N. 7, luglio 2014