Educare.it - Rivista open access sui temi dell'educazione - Anno XXIII, n. 9 - Settembre 2023

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Suor Ines

Giorni fa mi capitò fra le mani una fotografia fatta a fine anno scolastico 1995-96 con la quarta Magistrale. Lo sguardo mi andò subito su una allieva: una piccola suora argentina che chiamerò Suor Ines. Di lei ho un ricordo particolare a causa di un episodio che mi colpì molto: era l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Pasqua; alla fine delle lezioni, nella strada, davanti al portone dell’Istituto, oltre alla solita folla chiassosa di studenti, quel giorno c’erano anche molti Insegnanti. Io stavo salutando la collega di Lingue quando improvvisamente si avvicinò a noi una motoretta con due giovani a bordo e uno di loro, velocissimamente, scippò la borsa alla mia collega. Tutto avvenne in pochi attimi lasciandoci attoniti e turbati.

La mia collega reagì bene (forse anche perché era riuscita a non cadere) e, accompagnata dal Professore di Lettere, volle subito recarsi presso il Comando di Polizia per denunciare l’accaduto.

Il gruppo di studenti, divenuto improvvisamente silenzioso, si andava intanto diradando. Anche io mi avviai verso il Lungotevere, dove avevo posteggiato la macchina, pensando a quanto era accaduto. Mentre percorrevo il Corso si affiancò a me Suor Ines che si recava alla fermata dell’autobus.

Suor Ines è una suorina proveniente da un villaggio montano dell’Argentina, ai confini con la Bolivia. Molto riservata e taciturna, anche nei temi non parlava mai di sé, dei suoi sentimenti, delle sue origini. Esile e minuta, si rammaricava molto quando faceva errori di Italiano, mi ringraziava sempre quando la correggevo e un buon voto la rendeva felice. In quel periodo avrà avuto circa venticinque anni ed io avevo notato come il suo volto avesse invece un’espressione molto matura, un aspetto grave e serio, in contrasto con la sua giovane età.

Quando si avvicinò a me inevitabilmente cominciammo a commentare quanto era accaduto all’Insegnante di Lingue. Ricordo di aver detto con lei come la società contemporanea abbia bisognoso di ritrovare dei valori fondamentali, di come sia necessario trovare un freno alle "fughe" di tanti giovani verso la violenza, l’intolleranza, la droga, di aver affermato che, fra i tanti "segni dei tempi" che caratterizzano la nostra società, è proprio quest’ultima, la fuga verso la droga, la più devastante. A questo punto Suor Ines, che era stata sempre zitta, con un filo di voce mi disse: "Anche io ho consumato la coca per tanti anni". Rimasi in silenzio per qualche minuto, la guardai e in quel momento mi parve di leggere sul suo volto tutti i dolori del mondo. Dalle mie labbra uscì solo una parola: "perché?". Allora Suor Ines si appoggiò ad un albero e mi disse che nel suo villaggio quasi tutti masticano foglie di coca, anche i suoi familiari, anche lei lo aveva fatto fin da quando era poco più di una bambina e ne facevano uso per non sentire la fame. Poi tacque e assunse l’atteggiamento di chi non vuol parlare. Rimasi in silenzio anche io; andavo pensando di aver letto di queste popolazioni andine che masticano foglie di coca per combattere la fatica, il sonno e, appunto, la fame, ma tutto ciò mi sembrava talmente incivile quasi da volerla ritenere una usanza del passato. Ruppi il silenzio dicendole: "Suor Ines, vuoi un passaggio in macchina?"

Mi rispose di getto in lingua spagnola: "En coche? Oh, muchas gracias!"
Durante il percorso le chiesi: "Adesso ne sei fuori completamente?". "Sì", rispose.

Non parlammo mai più di questo argomento. Mi chiesi tante volte perché sentì il bisogno di confidarmi questo suo segreto, ma rispettai la sua fiducia e non ne feci cenno con alcuno.

La piccola suora argentina era stata privata di alcuni diritti fondamentali: il diritto all’alimentazione, alla salute, all’istruzione. Ai nostri giovani, i giovani della società post industriale, che si perdono nel tunnel della droga, ciò che viene a mancare è molto spesso, per non dire sempre, la famiglia. Il più delle volte provengono infatti da famiglie disgregate o, comunque, assenti. Dunque, in ogni caso, ciò che viene a mancare è l’educazione. Educare significa anche far comprendere quali sono i bisogni essenziali della persona, significa creare una coscienza dei diritti fondamentali di cui l’uomo ha bisogno per realizzarsi. Educare un figlio significa anche ascoltarlo, condividere progetti, offrire una solidarietà profonda, un dialogo aperto e continuo, significa rispettarlo perché egli possa a sua volta rispettare sé stesso e gli altri.

L’educazione è un diritto dell’individuo che la famiglia e la scuola hanno il dovere di soddisfare. La famiglia e la scuola devono proporre valori in cui credere e genitori o insegnanti sensibili sanno come farli arrivare senza dare la sensazione di farli cadere "dall’alto", ma occorrono famiglie unite ed insegnanti responsabili.

Tutto questo la neo-maestra Suor Ines ha ben compreso e non ho alcun dubbio che questi principi troveranno ampio spazio nei suoi programmi educativi.

 


copyright © Educare.it - Anno III, Numero 2, Gennaio 2003