Educare.it - Rivista open access sui temi dell'educazione - Anno XXIII, n. 12 - Dicembre 2023

  • Categoria: Vivere di Scuola

Quando l'interrogazione diventa un problema

Il nostro Istituto era così organizzato: Corsi di studio regolari la mattina, Corsi di recupero per studenti-lavoratori la sera. Il corpo insegnante era, tranne poche eccezioni, sempre lo stesso; io ero impegnata per entrambi i Corsi.

E' noto che l'insegnamento va ben oltre la semplice trasmissione di contenuti, esso è anche formazione, è scambio reciproco: l'allievo apprende e l'educatore, insegnando, incontra molteplici opportunità per perfezionarsi, per migliorare il suo modo di porsi alla classe. Sotto questo aspetto le mie esperienze più significative sono quelle relative ai Corsi serali.

Ricordo un episodio legato ad un giovane  che frequentò la nostra Scuola sei anni fa. Era intorno ai trent'anni, dopo le Medie aveva frequentato qualche anno dell'Istituto Alberghiero senza completare gli studi e si era iscritto ai nostri Corsi serali per conseguire il diploma di Dirigente di Comunità.

Aveva un viso simpatico, un'espressione aperta e cordiale, ma le sue prime parole non furono parole d'intesa. Al contrario, mi disse subito che frequentare la Scuola non gli era mai piaciuto, che nessuna materia gli interessava (salvava solo la Matematica), che si era iscritto ai nostri Corsi esclusivamente per conseguire un diploma, uno qualunque, perché gli era necessario per il suo lavoro. Poi, con tono ancora più fermo proseguì dicendo che, avendo notato di essere l'unico elemento maschile della classe, non consentiva farsi interrogare. Risposi semplicemente che avremmo trovato una soluzione per ogni problema.

In classe si stabilì subito un'atmosfera serena e cordiale: il mio allievo era "coccolato" dalle compagne, lui seguiva con impegno le lezioni, ma seguitava nel rifiutare l'interrogazione.

Con il progredire del Corso ed approfondendo sempre più le Materie cresceva  in lui anche l'interesse; arrivava in anticipo sulle lezioni, prendeva nota di tutto, spesso chiedeva ulteriori spiegazioni.  Ricordo di avergli detto un giorno, a proposito delle interrogazioni, come queste costituiscano un criterio di valutazione importante non solo per l'Insegnante (io avevo già formulato un giudizio su di lui attraverso gli scritti), ma anche per lo studente che soltanto esprimendosi anche verbalmente può prepararsi in modo adeguato agli esami. Ma la situazione non si sbloccava, neanche con gli altri Insegnanti. I miei colleghi proposero allora di interrogarlo da solo, fuori orario. Io non ero d'accordo perché avevo intuito la natura psicologica del problema, poi non mi piaceva fare preferenze, tuttavia, per compiacere i colleghi, accettai, ma inutilmente: il giorno fissato per l'interrogazione l'allievo non venne a Scuola.

Fu la lezione di Psicologia che tratta i problemi psico-pedagogici a sbloccare la situazione. Avevo spiegato come il mancinismo dipenda  da un'inversione della dominanza emisferica e pertanto quanto sia assurdo e controproducente volerlo correggere.

Avevo  detto  che costringere il fanciullo mancino ad usare la mano destra significa sottoporlo ad uno stress durissimo ed innaturale, avevo detto ancora che i mancini corretti possono andare incontro a difficoltà quali la dislessia e la balbuzie, che la timidezza e la tensione nervosa alimentano fortemente la balbuzie stessa.

A quel punto il mio allievo cominciò a parlare come un fiume in piena; senza più alcun pudore disse a me e alle compagne come da fanciullo fosse stato duramente corretto  dal suo mancinismo considerato un difetto dal quale occorreva liberarsi al più presto.  Ci disse come improvvisamente incominciò a balbettare, soprattutto a Scuola, ancor più durante le interrogazioni.  Ci spiegò come soltanto in età adolescenziale, dopo aver abbandonato la Scuola, si fosse liberato da quel problema e quanto grande fosse il suo timore di ripiombare in una situazione così angosciante.

E' inutile dire che questa sua confidenza lo liberò dalla paura dell'interrogazione e anche da quella di possibili ricadute.

Superò anche gli esami di maturità, ma poi mi disse che era molto più felice per aver vinto il suo trauma psicologico che per aver raggiunto l'ambito  diploma.

 


copyright © Educare.it - Anno II, Numero 6, Maggio 2002