- Categoria: Pedagogia interculturale
- Scritto da Daniela Di Silvestro
La "pelle giusta": La costruzione sociale della differenza di pelle
Diversi studi di psicologia cognitivista affermano che il giudizio nei confronti del diverso da noi viene appreso più dal linguaggio comune che dalla sola percezione visiva. Seguendo questa tesi si può sostenere che il razzismo cresce nel quotidiano laddove i comportamenti ed i giudizi, che il mondo adulto adotta, tendono a rafforzare nei bambini stereotipi e pregiudizi.
La costruzione sociale del razzismo perpetuata nella vita di ogni giorno è il tema centrale del saggio "La pelle giusta" di Paola Tabet (1).
Si tratta un lavoro di ricerca riguardo alle modalità tramite le quali le argomentazioni razziste sono oggi percepite e rielaborate dai bambini fra i sette e i tredici anni (alunni cioè delle scuole elementari e medie) (2). I bambini, sottoposti all'elaborazione di brevi componimenti, hanno dimostrato, nella loro maggioranza, di aver assorbito la "lezione" che la società offre loro e, purtroppo, spesso gli adulti non forniscono strumenti di adeguata rielaborazione.
I canali che diffondono questi concetti vanno dalla letteratura antropologica di massa, alle vignette, agli odierni programmi televisivi fino alla narrativa più specifica per ragazzi. Travestiti di innocenza essi consentono la trasmissione di messaggi etnocentrici che si rafforzano con l'intensificarsi dei processi di socializzazione.
Come afferma Maria Antonietta Saracino (3), "l'immagine dell'altro che portiamo dentro di noi è prepotentemente letteraria". Quest'autrice ci fa notare come in realtà non si sia ancora verificato un autentico incontro con l'altro. Fin quando continueremo a considerarci gli unici soggetti della relazione, fin quando il diverso sarà solo oggetto dei nostri discorsi, non possiamo affermare di sapere realmente ascoltare l'altro.
L'immagine della diversità è di fatti costruita in base ai propri modelli ed attuata sempre per differenza da questi. Il risultato è quello di un analisi dell'altro come essere mancante rispetto alla nostra presupposta completezza e perfezione. Dobbiamo inoltre notare - con sincero rammarico- che anche chi si dichiara antirazzista non è immune da tali semplificazioni.
Se il mondo adulto occidentale si ostina a rimanere fermo su queste posizioni ai bambini - privi di un proprio senso critico- non rimane che adeguarsi. Paola Tabet ammette che nei bambini più piccoli c'è un istinto di genuina curiosità verso l'altro. Se, tuttavia, ad essi arrivano degli input terrorizzanti si avvia un meccanismo di costruzione della paura. Il nero, in particolare, si presta come simbolo in cui incarnare ossessioni ed angosce appartenenti alla fantasmatica sia infantile sia adulta.
In questa prospettiva, nero è dunque sinonimo di male (4) basti pensare alla favola dell'uomo nero che spaventa da generazioni i bambini. La paura si serve dunque di archetipi che rafforzano la costruzione di barriere difensive e relegano l'altro nella sfera del negativo.
Chiedendo ai bambini d'immaginare e descrivere una situazione in cui i genitori fossero neri, oltre alle sensazioni legate alla paura, un altro giudizio che emerge è lo schifo e la vergogna (5). Tuttavia, "questo schifo non può in alcun modo essere considerato come la manifestazione di un movimento soggettivo e istintivo" (6), in quanto, come Tabet sostiene, il disgusto è un sentimento costruito culturalmente. L'autrice ci fornisce un chiaro esempio facendoci riflettere da una parte sul modello d'educazione all'igiene tipico delle società occidentali - e, dunque, sui relativi tabù che l'accompagnano- dall'altra sulla reazione dei bambini che, al contrario, istintivamente, giocano con i loro escrementi e secrezioni.
I sentimenti negativi (di disgusto, paura ecc.…) portano dunque il bambino ad elaborare strategie di difesa per affrontare un problema con l'altro che non è stato risolto. Le soluzioni adottate sono molteplici e vanno dalla negazione del problema ("era uno scherzo" (7), "era un sogno") all'azione vera e propria. Si può così, allora, fuggire, nasconderli (perché ci si vergogna di loro), cacciarli oppure "imbiancarli" (8).
Arroccati in questa artificiosità di giudizi spesso non ci accorgiamo neppure dei conseguenti problemi d'identità che creiamo nello straniero. Intanto - come è successo e succede per gli afroamericani statunitensi- nel continente africano vanno a ruba nocive creme sbiancanti e i bambini emigrati fanno esperimenti casalinghi con la candeggina con la speranza di diventare della pelle giusta (9).
NOTE:
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L'idea è nata all'interno di un seminario d'etnologia tenuto nel 1989-90 nell'Università di Siena alla facoltà di Magistero e si è avvalsa del contributo di quattrocentoventidue classi provenienti da tutta Italia.
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Saracino M. A. (a cura di) Altri lati del mondo Roma, Sensibili alle foglie, 1994, p. 13
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In particolare il "nero" è: lo zingaro, il diavolo, li ladro di bambini, il violento. "Se i miei genitori fossero neri…mi sembrerebbero due ladri mascherati oppure due maligni mandati dal diavolo" Ivi p. 8
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Pirri, Cagliari, I elementare. "Se i miei genitori fossero neri io ero nata nera e ero brutta e anche mamma e papà erano anche loro erano neri - tutti eramo neri e poi tutti eravamo tutti e 5 brutti perché eramo neri- io ne ero dispiaciutissima - e anche loro erano dispiaciuti perché tutti facevamo schifo e io mi sentivo sporca". Ivi p. 39
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Badia, Agnano, Arezzo, I elementare. "Se i miei genitori fossero neri non mi piacerebbero perché sono brutti. Li farei ritornare come sono ora. Li potrei portare dal veterinario. Ma i miei genitori si sono pitturati perché sono bianchi" Ivi p. 22
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Ambra, Arezzo, II elementare. "Se i miei genitori fossero neri…io proverei a dipingerli con un colore chiaro come il rosa e almeno diventerebbero di pelle italiana" Ivi p. 113. Oristano, III elementare. " (…) Infine qualche mattina preparo due tazze di latte caldo e li butto in tutte le parti così non sono più neri ma bianchi in più con il latte caldo li faccio parlare in italiano (…) " Ivi p. 116.
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Serradifalco (Caltanissetta), IV elementare: (…) io a loro vorrei molto bene come se fossero con la pelle giusta". Ivi p. 155
AUTORE: Daniela Di Silvestro è laureata in Lettere moderne (orientamento pedagogico), si sta specializzando come "Esperto di raccordo tra istruzione, formazione e lavoro". Attualmente collabora con l'Università Bicocca nella redazione di un testo di pedagogia critica sulla formazione dell'operatore pedagogico.
copyright © Educare.it - Anno I, Numero 9, Agosto 2001