- Categoria: Editoriali
- Scritto da Luciano Pasqualotto
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Senza parole
Gli studi sull’intelligenza emotiva hanno chiarito l’importanza della connessione tra cuore e cervello per la salute psichica e relazionale. Le emozioni possono colorare di tante sfumature le esperienze a condizione che sui vissuti intervenga un’azione riflessiva. Diversamente gli stati d’animo restano confusi, opachi. Sulle emozioni vanno dunque fatte operazioni di pensiero, con lo scopo di comprendere meglio ciò che proviamo e quali sono le origini dei diversi sentimenti, nonché per gestire emozioni disforiche e distruttive.
Per tali operazioni della mente servono le parole. Vygotskji, Bruner e gli studi sulla neurolinguistica hanno chiarito le relazioni tra pensieri e parole. Il “modo in cui uno parla”, scrive Jerome Bruner, esprime il “modo in cui rappresenta ciò di cui parla” (La mente a più dimensioni, Laterza, 2003, pag. 161). L’analfabetismo emotivo si manifesta nella diffusa difficoltà di mettere in parole ciò che si prova, che nella sua forma patologica prende il nome di alessitimia. La carenza di un lessico emotivo ricco è una condizione comune tra gli adulti, ma ancor più tra i giovani. La comunicazione fatta di parole-frasi, vocaboli abbreviati o storpiati, termini usati in modo generico, come si usa nei social, non aiuta la formazione di un pensiero articolato e lucido su ciò che si sta provando in questi tempi difficili. E’ soprattutto la parola scritta a risultare generalmente impoverita.
Quanto è lontana dall’esperienza comune la poesia, come manifestazione di sintesi massima tra pensieri ed emozioni? Possiamo intravvedere tra i testi rap l’espressione di una poetica di questi tempi, in grado di raggiungere in alcuni autori livelli di eloquenza ed incisività ammirabili. Ma rimane una capacità di pochi, mentre tutti gli altri rifuggono dallo scrivere, che richiede riflessione, capacità di analisi, raccoglimento in se stessi.
A scuola, lo vediamo nella povertà degli elaborati degli studenti, spesso frutto di rimaneggi delle sterminate risorse presenti su Internet. Eppure, proprio loro oggi avrebbero bisogno di parole, per far luce su ciò che stanno vivendo, separati dai loro coetanei e dal mondo che solitamente costituisce il loro quotidiano. Parole per esprimere le emozioni, soprattutto quelle negative, per esternarle e non subirne il potere distruttivo. Solo per un momento e con le dovute proporzioni, proviamo ad immagine Anna Frank nascosta per due anni nel suo appartamento senza il suo diario. Quelle parole, a distanza di decenni, riescono a rappresentarci una vita interiore che rimane fiorente nonostante la devastazione che la circonda.
Per questo crediamo che vadano moltiplicate le occasioni per spingere bambini, ragazzi ed adolescenti a mettere in parole ciò che provano. Nella scuola a distanza, resa obbligatoria dall’ultimo DPCM, gli insegnanti fin dalle prime classi della primaria chiedano ai loro alunni dei brevi componimenti, almeno due alla settimana, attraverso i quali esercitarsi nella competenza difficile ma fondamentale di mettere in parole ciò che provano. Non vanno necessariamente valutati perché non si tratta solo di scuola: è una via di benessere in questo periodo di isolamento sociale che si prolunga senza vedere ancora la fine.
copyright © Educare.it - Anno XX, N. 4, Aprile 2020