Nella scuola secondaria italiana l’insegnamento delle Scienze della Terra è, per svariati motivi, considerato di scarso interesse. L’approccio didattico conosciuto come Inquiry Based Science Education (IBSE) è un potente mezzo per l’acquisizione della literacy geologica indispensabile per la formazione di futuri cittadini in grado di comprendere il mondo che li circonda e di prendere future decisioni in modo consapevole. L’articolo spiega la didattica IBSE ed esemplifica come possa essere efficacemente implementata nello studio delle Scienze della Terra.
Le indagini internazionali mettono in evidenza dati poco incoraggianti sulle competenze degli studenti italiani, in particolare nel campo delle scienze e delle tecnologie. Gli organismi preposti ad effettuare le ricerche, in particolare l’OCSE (Invalsi, 2006), hanno recentemente riportato risultati nientemeno che incoraggianti. Scorrendo la graduatoria pubblicata dall’indagine Program for International Student Assessment eseguita dall’OCSE nel 2006, si evince che, nelle scienze, le scuole migliori sono la finlandese, la canadese e la giapponese. La scuola italiana si trova al di sotto della media internazionale e come fanalino di coda precede solo la portoghese, la greca, la turca e la messicana. Se questa è l’amara realtà, è facile prevedere come i nostri ragazzi, i cittadini italiani del futuro, non potranno misurarsi ad armi pari con gli altri ragazzi europei e del mondo nelle sfide della vita.
In verità, a soffrirne sarà l’intera società italiana, ma ciò non sembra interessare molto l’opinione pubblica del nostro Paese, per una sorta di diffidenza verso questi strumenti di comparazione internazionale. Come può essere che la patria di santi, poeti e navigatori, ma anche di tanti scrittori, scienziati e filosofi, possa collocarsi nelle ultime posizioni? Si sospetta, insomma, che ci sia qualcosa di deformante nelle procedure messe in atto (Stella, 2009).
Purtroppo non è così. Si prenda, ad esempio, l’ambito delle scienze. In Italia, i risultati della scuola elementare sono accettabili e sopra la media internazionale. Nel corso della scuola superiore di primo grado si assiste ad un loro progressivo abbassamento, per trovarli a livelli nettamente sotto la media internazionale a conclusione di questo percorso (Mayer, 2008). La posizione non cambia quando si esaminano i risultati della scuola secondaria di secondo grado. Fanno eccezione i licei, i cui alunni rispondono meglio ai test dell’indagine rispetto ai loro coetanei che frequentano le altre scuole. Le situazioni si differenziano ulteriormente se si guarda alla posizione geografica italiana. Le indagini forniscono risultati elevati al nord che diminuiscono, scendendo sotto la media europea, man mano che si passa dal centro al sud e nelle Isole.
Perché l’Italia si trova così in basso? Perché tanta differenza tra la scuola del sud e quella del nord? Mayer risponde puntando il dito contro l’immagine della scienza che la stessa scuola italiana produce. Un’immagine poco accattivante, “nozionistica”, “statica” ed “autoritaria”, perché presenta le scienze come materia arida e dogmatica, qualcosa da imparare a memoria, e non mette a fuoco la vera essenza, che è vivace, fatta di creatività e di curiosità (Mayer, 2008). Ne è responsabile il sistema scolastico italiano, spiega l’esperta, innanzitutto perché concede poco tempo allo studio delle scienze, poi perché è troppo nozionistico piuttosto che ricco di esperienze concrete, anche con cose semplici e, infine, perché lascia che le teorie scientifiche passino come verità “a priori” e non per quel che sono, cioè costruzioni umane, continuamente messe alla prova dei fatti.
Alla luce di ciò, per invertire la tendenza, la comunità di esperti di formazione scientifica ha individuato come pratica educativa l’Inquiry Based Science Education (IBSE) le cui consolidate esperienze internazionali di implementazione si sono mostrate efficaci sia a livello di scuola primaria che secondaria di ogni grado. Le sfide dell’Educazione scientifica sono dunque ad ampio spettro che vanno affrontate capitalizzando esperienze internazionali pur partendo dalla profonda conoscenza e dalle esigenze della realtà contestuale italiana (Pascucci, 2010). È assodato che l’educazione scientifica sull’investigazione non serve solo ad aumentare l’interesse e il rendimento degli alunni, ma anche a stimolare la motivazione degli insegnanti.
Il National Research Council (1996) ha definito l’inquiry come un insieme di processi correlati attraverso i quali scienziati e studenti si fanno domande sul mondo naturale e indagano sui fenomeni; nel fare questo, gli studenti acquisiscono conoscenza e sviluppano una comprensione ricca di concetti, principi, modelli e teorie.
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Autore: Roberto Franco è laureato in Scienze Geologiche, esperto in Sistemazione bacini montani e difesa del suolo. Membro della Società Italiana di Geologia Ambientale e presidente del Centro Studi Francescani e Medievali, è docente di Scuola Superiore di Secondo grado.
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