Saper scrivere è una competenza fondamentale per aver successo a scuola e nel mondo del lavoro. Tuttavia, se pensiamo anche solo alla lettera aperta che i seicento professori universitari hanno inviato al Presidente del Consiglio, al Ministro dell’Istruzione, al Parlamento, lo scorso mese di febbraio, pare che questa competenza sia ben al di là dall’essere patrimonio degli studenti italiani. Eppure, una delle otto competenze chiave, necessarie per l’apprendimento permanente, di cui alle Raccomandazioni U.E. del 2006, è appunto la “comunicazione nella lingua madre”.
Ma cosa significa saper scrivere? E quali sono gli elementi che connotano il saper scrivere? Ormai parecchi anni fa la IEA (International Association for the Evaluation of Educational Achievement) promosse un’indagine sulla produzione scritta di testi. Per la valutazione venivano proposti 10 punteggi distinti: 1) Valutazione globale; 2) Contenuto; 3) Organizzazione; 4) Stile e registro; 5) Grammatica; 6) Ortografia; 7) Calligrafia; 8) Impressione generale; 9) Impaginazione; 10) Lessico.
Quell’indagine in parte fallì perché non fu raggiunto un accordo sufficiente tra i correttori dei 14 Paesi partecipanti per comparare i dati. Tuttavia, l’aver condiviso quali dovessero essere gli aspetti da prendere in considerazione per la valutazione costituì già un risultato: essi ci possono offrire una traccia per reimpostare un curricolo verticale, progressivo e continuo, affinché al termine dell’obbligo di istruzione gli studenti raggiungano un livello di competenza e di padronanza nella lingua scritta accettabile. Le Indicazioni Nazionali per il primo ciclo e per i Licei, nonché le Linee Guida per gli Istituti Tecnici e Professionali, sottolineano l’importanza di sviluppare il linguaggio per usi cognitivi: per riflettere sulle cose e sulle vicende del mondo, per descrivere, paragonare, relazionare, argomentare etc., collegando saldamente, attraverso le relazioni logiche, le mappe verbali con quelle dell’esperienza.
Se questa è la situazione, occorre reimpostare l’intero percorso di insegnamento-apprendimento dei processi di scrittura condividendo tra i docenti dei diversi ordini di scuola piste di lavoro: dalla scelta del carattere grafico, alle prospettive ed ai modelli.
Non è pensabile che l’insegnare a scrivere sia competenza esclusiva del docente di italiano, né pensare che scrivere sia esclusivamente una questione stilistica; neppure che i docenti della scuola superiore non sappiano come si impara/insegna a scrivere, quali siano i processi cognitivi che regolano la scrittura, il rapporto tra padronanza linguistica e strutturazione del pensiero. La lingua, orale e scritta, è lo strumento e il prodotto di tutti gli apprendimenti disciplinari. E per scrivere occorre sviluppare le dieci abilità indicate dalla IEA.
E’ risaputo che i bambini pensano a livello pratico prima di fare e prima di dire, ma è altrettanto risaputo che è compito della scuola quello di accompagnare tutti i bambini alla miglior padronanza possibile del pensiero logico, inteso come capacità di riflettere, prevedere, valutare. Che rapporto c’è tra questo modo di pensare e lo scrivere? E cosa significa scrivere? Da una parte c’è l’automatizzazione dei processi di codifica e di decodifica, dall’altra lo sviluppo delle capacità di organizzare, attraverso le relazioni logiche, i contenuti da comunicare e le modalità per esprimerli con il codice più adeguato.
Il primo passaggio dalla forma orale a quella scritta è costituito dall’associazione stabile e transitiva tra la modalità uditivo-vocale e quella visivo-motoria. Il secondo passaggio, e questo attiene alla scuola, riguarda la scelta del carattere grafico: corsivo, stampatello, script? Tutti e tre in contemporanea? In sequenza? E se in sequenza, quale per primo e con che tempi? Le domande riguardano i tempi di apprendimento non di insegnamento.
Assumendo che un carattere valga l’altro e che il ruolo dell’insegnante sia di facilitare al massimo i percorsi di apprendimento, negando talvolta il valore educativo del diritto alla fatica e alla differenziazione dei percorsi per raggiungere risultati equivalenti, il corsivo, cenerentola dei tre caratteri, è stato per lungo tempo considerato una reliquia del passato. Negli ultimi anni, invece, numerosi autori come ad esempio S. Dehaene, hanno messo in evidenza il valore generativo dell’apprendere il corsivo, prima degli altri caratteri, e i vantaggi che questo comporta.
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Autrice: Maria Grazia Carnazzola, laureata in Psicologia presso l’Università di Padova, già Dirigente Scolastico , è coordinatore di Nucleo di valutazione dei Dirigenti Scolastici. E’ formatore MIUR ed, attualmente, si occupa dei temi relativi all’insegnamento/apprendimento.
copyright © Educare.it - Anno XVIII, N. 7, luglio 2018