- Categoria: Risonanze
- Scritto da Cecilia Bernardi
- Visite: 9390
Da puma a koala
Article Index
Elisa è una ragazza di 28 anni quando, nel mese di luglio, arriva al Servizio per le Tossicodipendenze per una esotossicosi alcolica; quindici giorni prima le era stata sospesa la patente per guida in stato di ebbrezza.
Dall’anamnesi medica stilata al momento dell’accoglienza emerge che Elisa è stata in carico alla Neuropsichiatria Infantile per deficit intellettivo, a causa del quale aveva avuto l’insegnante di sostegno sia alle scuole elementari che alle medie; verso i 15 anni ha iniziato ad abusare pesantemente di alcol nei weekend, con una predilezione per i superalcolici, conducendo comunque un’esistenza abbastanza regolare, dove non erano mancate varie esperienze di lavoro.
Due anni prima vi era stato un evento che aveva scatenato un grave scompenso psichico: Elisa era rimasta incinta nel corso di una breve relazione e, su costrizione dei genitori, aveva drammaticamente subito l’interruzione della gravidanza. Tuttora vive con la madre e con il patrigno, ma non ha alcuna rete amicale.
All’interno del Ser.T. Elisa viene appoggiata agli educatori, al fine di monitorare l’uso di alcol e di impegnarla alcune ore la settimana in attività che possano riattivare le sue risorse.
Quando la incontro per la prima volta con il pretesto della compilazione del curriculum vitae per la ricerca di un lavoro, Elisa si presenta come una robusta ragazza mascolina, abbigliata alla “Rambo” con occhiali scuri, quasi voler sembrare una “dura” da temere, una “che spacca tutto”.
Sin dalle sue prime risposte, mi rendo conto che qualcosa in lei non va: parla senza seguire un filo logico, fatica a ricordare la data di nascita e, come verificato in seguito, ne inventa una al momento, così come inventa anche lavori mai fatti (come quello di responsabile idraulico, che è un lavoro prettamente maschile!). Sulla base di questa prima impressione, penso che Elisa non possa essere inserita in un normale contesto di lavoro ma debba essere accompagnata verso una occupazione protetta.
Nei giorni successivi, la accolgo in quel setting educativo che identifichiamo come “Salotto”; fare con lei alcune attività molto semplici, come decorare le tegole o lavorare il cernit o giocare a calcio balilla, mi aiuta ad entrare in relazione e a creare un rapporto di fiducia che si consolida nel tempo. Mi accorgo che questa relazione modifica il mio modo di essere e mi rende più disponibile all’ironia e alla messa in gioco. La nostra frequentazione mi permette anche di rilevare alcuni comportamenti anomali di Elisa, come sbalzi d’umore, improvvise risate ed eloqui solitari. Via via prendo atto dell’esistenza di un disturbo psichiatrico sul quale, da educatore, non ho margini di intervento se non nei termini di un’azione puramente contenitiva: condivido quindi con il medico e lo psicologo di riferimento la necessità di integrare il sostegno educativo con un supporto farmacologico mirato ad aiutare Elisa ad essere più lucida e più consapevole di sé e della realtà circostante.