- Categoria: Pedagogia interculturale
- Scritto da Antonella Rossi
L'intercultura e la pedagogia del confronto
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La scuola da alcuni anni si trova a far fronte ad un ingresso di allievi doppiamente silenziosi, per la mancata conoscenza dell’italiano e per un innato rispetto dell’istituzione in cui vengono inseriti: tale silenzio disorienta non poco i docenti, per la situazione assolutamente stravolta in cui si trovano a svolgere i consueti programmi, o per il senso di frustrazione che provano davanti ad alunni che sembrano non trarre profitto alcuno dalle lezioni impartite. A questo proposito, è urgente interrogarsi su quali percorsi intraprendere, per far sì che si possano sperimentare nuovi terreni di confronto e incontro interculturale.
Per progettare un percorso di educazione interculturale si dovrà partire da una visione plurima, anzi "etnoplurima". Cosa significa ciò? Significa innanzitutto che ci sono più punti di vista e che essi devono essere introdotti nella sfera dell’educazione e della scuola. Ci sono più rappresentazioni del mondo, ci sono più differenze che omogeneità ed è necessario, allora, muoversi verso un’educazione alla varietà e alla molteplicità. E’ necessario allora incentivare un apprendimento che fornisca al soggetto gli strumenti e la flessibilità necessari per passare da un'identità culturale all’altra senza eccessivo timore.
Diversità etniche, diversità culturali
L’interculturalità nasce a questo punto. E qui vi è un altro passaggio di natura concettuale (1). L’interculturalità potrebbe essere definita etnorelazionalità, relazione tra etnie diverse, con più identità che entrano in relazione tra loro confrontandosi, comunicando e imparando reciprocamente. L’interculturalità non vuole abolire gli etnocentrismi, ma fare sì che dal confronto nasca una cultura nuova. Il caso tipico è quello dei matrimoni misti: i bambini che nascono da un matrimonio tra culture diverse generano una situazione completamente nuova dal punto di vista psico-affettivo.
L’interculturalità è emblematizzata dalle nuove nascite che avvengono dove le etnie si rimescolano e danno origine a nuove forme di vita. Il concetto di interculturalità, per il pedagogista, è un concetto forte, perché l’interculturalità non appartiene ai fenomeni naturali, ma deve essere voluta e provocata, progettata e realizzata.
E’ un’interferenza nei confronti delle nostri modelli psico-sociali e antropologici abituali. In questo senso il ruolo della scuola e delle altre agenzie educative è determinante. Non si crea una metropoli interculturale se non c’è un progetto interculturale nella città. Si può creare, nel migliore dei casi, una metropoli "insalatiera etnica", un melting pot multietnico o, come dicono altri che credono ancora che le razze esistano, multirazziale. In realtà, tutto ciò che fa riferimento alla multietnicità e alla multiculturalità non richiede un progetto educativo, perché essa è intrinseca nelle fenomenologie storiche, nei processi di immigrazione irreversibili che viviamo oggi e che, libri di storia alla mano, abbiamo sempre vissuto.
Tuttavia, nel momento in cui pensiamo all’interculturalità nella scuola, emerge la dimensione progettuale. Se il nostro atteggiamento è soltanto multiculturale, di tolleranza nei confronti delle altre culture, è troppo poco. Si tratta di andare oltre la tolleranza come valore. Si tratta di andare verso una prospettiva di interculturalità viva e inevitabilmente progettuale.
L'insegnante come mediatore interculturale
In primo luogo, l’insegnante si trova a dover agire non più solo come operatore culturale, ma è chiamato ad avere altre competenze, di natura psicologica e relazionale. Infatti dovrebbe tenere presente, innanzitutto, la vulnerabilità del bambino straniero che, non soltanto è più debole sul piano linguistico, ma è un bambino a rischio, perché più esposto ad episodi di emarginazione.
Un altro aspetto importante che entra in campo quando si fa didattica interculturale con la presenza di bambini stranieri in classe, è l’attenzione che si dovrebbe avere ai processi di crescita dei nostri bambini e per i processi di crescita degli altri bambini. Sono processi che si rimescolano, si confondono e possono sconcertare l’insegnante che per insicurezza potrebbe decidere di non fare educazione interculturale, ma limitarsi al recupero e alla facilitazione, ignorando le differenze culturali e sociali di cui indubbiamente il bambino extra-comunitario è portatore.
Il docente, invece, che si interroga e non rimuove il problema può svolgere una funzione di mediazione e di transizione culturale. La sua è una figura di forte valenza pedagogica, perché è colui che permette che la transizione da un mondo precedente al nostro possa viaggiare in una certa direzione piuttosto che in un’altra. Alcuni bambini stranieri tendono a forme di vero e proprio mimetismo culturale nei confronti del nostro mondo, tentando di cancellare le loro origini, per vergogna o per complessi di inferiorità. Cercano di evitare, ad esempio, che i genitori vengano a prenderli a scuola. Sono bambini che potenzialmente sono a rischio psicologico, anche se talvolta gli insegnanti sostengono che non costituiscono il problema.
L’insegnante è un mediatore culturale. Spesso si parla di mediatori culturali in riferimento ad educatori di madre lingua, ma anche l’insegnante autoctono può essere un individuo che facilita la transizione del bambino straniero tra la sua cultura e della società d’accoglienza. L’insegnante dovrebbe essere in grado di calibrare, sulla base dei ritmi del bambino o del preadolescente, il proprio progetto di educazione interculturale. Infatti nelle classi dove è inserito uno straniero si può assistere a forme di assimilazione incondizionata, di vero e proprio mimetismo. In ogni caso si dovrebbe tenere conto del rapporto con la famiglia di appartenenza.