- Categoria: Dipendenze
- Scritto da E. Perrelli, C. Bernardi, L. Pasqualotto, M. Cibin
L'Educatore al Ser.D. Un metodo di lavoro e una base di confronto fra operatori delle dipendenze
Article Index
I Servizi per le Dipendenze patologiche (Ser.D.) nascono a partire dalla metà degli anni ‘80, con un approccio prevalentemente di tipo medico. Tuttavia il legislatore, col D.P.R. n. 309/1990, ha introdotto nelle équipe dei Ser.D. la figura dell’educatore, lasciando però nell’indefinito quale avrebbe potuto essere lo specifico contributo. Ciò ha comportato, nei fatti, che nei Servizi per le Dipendenze abbiano trovato precisa contestualizzazione professionale i medici, gli assistenti sociali, gli infermieri e gli psicologi, mentre agli educatori sono state assegnate le funzioni più diverse: la prevenzione primaria, progetti di prevenzione secondaria o di riduzione del danno, fino ad attività di natura prettamente clinica.
A distanza di quasi 20 anni dal D.P.R. n. 309/1990, è importante iniziare una riflessione e possibilmente stimolare un confronto fra operatori, sulle possibilità e sulle potenzialità dell’approccio educativo alle persone in stato di dipendenza patologica, all’interno di quella concezione antropologica di tipo bio-psico-sociale oggi affermata a livello internazionale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità [1] per tutti i sistemi di cura.
In questa sede tale riflessione sarà sviluppata a partire dall’esperienza compiuta all’interno del Servizio per le Tossicodipendenze dell’Azienda ULSS 13, sede di Dolo (Ve).
Il contesto operativo
Il lavoro educativo presso il Ser.D. di Dolo ha assunto nel corso degli anni una fisionomia propria, grazie alla convinzione del Responsabile e degli educatori professionali che fosse necessario accompagnare gli utenti con una specifica relazione continuativa e ben orientata nella sua intenzionalità. Se, infatti, tutti i professionisti del Servizio si adoperano per la cura dello stato di dipendenza, talvolta si rende necessaria una maggiore attenzione a quei bisogni soggettivi di accoglienza, ascolto e sostegno a cui ordinariamente non è possibile dare sempre soddisfazione, seconda le modalità di richiesta poste dall’utente.
A questo livello si colloca il lavoro degli educatori professionali, che si è dato forma e struttura attraverso uno spazio operativo all’interno del Servizio, denominato "Progetto Salotto". Si tratta di una proposta di accoglienza a "bassa soglia", cioè che non prevede per gli utenti del Servizio ticket di accesso di alcun tipo (prenotazioni, registrazioni, contenuti predefiniti, etc.) e che ha come unici vincoli l’orario di apertura (lunedì mattina e mercoledì pomeriggio) e la collocazione fisica entro un Servizio che comunque mantiene una forte caratterizzazione sanitaria.
Per definizione, un servizio a "bassa soglia" è teso generalmente a favorire l’incontro tra operatori ed utenti secondo un’intenzionalità che potrebbe essere definita "pre-terapeutica", poiché si situa in un percorso ideale a monte della cura, della quale diviene una sorta di presupposto motivazionale. Nel caso in questione tale concetto è da applicarsi all’intervento squisitamente educativo, in quanto la presa in carico già avviene nella fase di accoglienza gestita dalle altre figure professionali.
Col Salotto si vuole offrire uno spazio capace di diventare, per chi lo desidera, un contenitore di storie e di vita, di bisogni e di richieste, secondo trame che si intessono di volta in volta. Questo può accadere nella relazione individuale o in quella di gruppo, ma senza la necessità da parte dell’utente di doversi impegnare in alcun modo: la sua frequenza al Salotto è assolutamente libera da impegni pre e post frequentazione del Ser.D.
In questo luogo specifico dell’educazione si dà poco risalto al problema per cui una persona arriva al Servizio; ciò crea le condizioni per poter stabilire quel rapporto di fiducia che permette di esplorare e conoscere le competenze e le abilità della persona, quali punti di partenza per l’eventuale definizione di brevi tratti di vita.
Affinché questo accada, il Salotto deve risultare un luogo interessante per ciò che vi è possibile sperimentare ed incontrare. Eccolo dunque strutturato come spazio di relax, che offre agli utenti del Ser.D. la piacevolezza del permanere, svincolati da ansie di prestazione. I colori sono caldi, vi è un divano, un calcetto, delle sedie con un tavolo su cui si svolgono varie attività: disegno, diversi laboratori (perline, tegole, lana cardata), oppure si gioca a carte o con giochi di società. La preparazione del caffè e del tè, l’offerta di merendine e biscotti, la possibilità di ascoltare musica o di vedere un po’ di TV sono gli ulteriori connotati di accoglienza di questo spazio. Al Salotto si chiacchiera su come sta andando la vita, rispetto all’uso di sostanze o di alcol, rispetto al lavoro, alla famiglia, allo studio, ma anche di calcio, o di cosa si è fatto nel week - end. E’ pure luogo di elaborazione: si pensa alla creazione di un giornale interno al Ser.D., o ad organizzare delle uscite, delle passeggiate in montagna; vi è attenzione a raccogliere qualunque richiesta.
A partire dal Salotto possono svilupparsi percorsi di accompagnamento individuali o in piccolo gruppo, sulla base di bisogni specifici, come la ricerca di lavoro, l’iscrizione a corsi di formazione, la preparazione di un curriculum, oppure di interessi, come l’attivazione di una scuola di musica, la partecipazione a mostre o fiere a tema.
Il Salotto si offre anche come spazio altro, diverso da quelli in cui gli utenti vivono la quotidianità e riconducibili al mondo della dipendenza, un luogo in cui poter "riposare" senza dover temere nulla e, per questo, rappresenta un’opportunità positiva e gradita. Infatti molto spesso gli utenti riferiscono il fastidio e il peso del non riuscire ad emanciparsi dai soliti "giri" e, perciò, la disponibilità di un spazio con caratteristiche di "normalità" e "neutralità" risulta molto apprezzato.