In accordo con l’ICD-10 (la classificazione delle malattie secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità), i disturbi specifici del linguaggio possono essere definiti come: «disturbi in cui l'acquisizione delle normali abilità linguistiche è compromessa sin dai primi stadi dello sviluppo. Essi non sono direttamente attribuibili ad alterazioni neurologiche o ad anomalie dei meccanismi dell'eloquio, a compromissioni sensoriali, a ritardo mentale o a fattori ambientali. I disturbi evolutivi specifici dell'eloquio e del linguaggio sono spesso seguiti da problemi associati, come difficoltà nella lettura e nella compitazione, anomalie nelle relazioni interpersonali e disturbi emotivi e comportamentali»
[WHO (Organizzazione Mondiale della Sanità) - DIMDI (Istituto tedesco di documentazione e informazione medica) (2018). ICD - 10 - GM 2018. Neuchâtel (CH): UST, pag. 211].
I Disturbi del Linguagio possono essere distinti nel modo seguente:
Il DSM-5 (la classificazione delle malattie mentali secondo l’Associazione degli Psichiatri Americani) definisce globalmente i disturbi specifici del linguaggio come disturbo della comunicazione e li inquadra nell’ambito dei disturbi del neurosviluppo. Essi includono prevalentemente:
In questo articolo si seguirà la classificazione classica proposta dall’ICD-10.
Leggi tutto...I disturbi del comportamento comprendono due patologie, ovvero il disturbo della condotta (DC) e il disturbo oppositivo provocatorio (DOP). I tratti distintivi di entrambi i disturbi sono l’aggressività ed i comportamenti distonici nei confronti degli altri. Queste patologie tendono ad aggravarsi nel corso dell’età evolutiva, raggiungendo il periodo di maggiore acuzie durante l’adolescenza, in particolare il disturbo della condotta. L’aggressività è l’elemento base di entrambe le patologie, che può essere distinta in due tipologie: l’aggressività predatoria (o aggressività proattiva) e l’aggressività affettiva (o reattiva). La prima è contrassegnata da comportamenti violenti che sono pianificati e non producono conseguenze fisiche sul soggetto che la pratica, la seconda rappresenta una forma di aggressività che non obbedisce ad una logica strategica, si rivela episodica e contestuale con una forte caratterizzazione impulsiva, la cui conseguenza è rappresentata anche da autolesioni. La prima forma di aggressività è tipica del disturbo della condotta, mentre la seconda forma la si ritrova nel disturbo oppositivo provocatorio.
Il disturbo da deficit di attenzione con iperattività (ADHD-Attention Deficit Hyperactivity Disorder) è una patologia dell’età evolutiva che rientra tra i disturbi del neurosviluppo. Essa si rende evidente soprattutto nel periodo della scuola primaria, anche se alcuni segnali l’annunciano già nella scuola dell’infanzia. È un disturbo in cui predominano tre poli sintomatologici, relativi alla concentrazione, all’impulsività e all’iperattività.
Lo studio dei disturbi dell’Apprendimento (DSA) è stato orientato principalmente ai deficit in competenze di base dello studente: lettura (Dislessia), scrittura (Disgrafia) e capacità di calcolo (Discalculia), talvolta trascurando altri disturbi specifici non meno insidiosi e sommersi come l’Amusia. L’obiettivo di questo articolo è richiamare l’attenzione su questo deficit, capace di influire negativamente sugli apprendimenti e sulle abilità sociali.
Come specificato nella legge 170/2010 “Nuove norme in materia di disturbi specifici dell'apprendimento in ambito scolastico”, le istituzioni scolastiche garantiscono l'utilizzo di tecnologie informatiche che aiutano lo studente con DSA a compensare una sua oggettiva difficoltà in compiti di apprendimento.
Numerose ricerche hanno dimostrato come le nuove tecnologie producano degli effetti positivi nell'ambito dell'apprendimento e della riabilitazione di alunni con Disturbi Specifici dell'Apprendimento (Berton et al. 2005;2006; Peroni, 2006).
Ci sembra importante sottolineare che questi strumenti, come tutte le nuove tecnologie in mano ai minori, comportino una fase di insegnamento al loro uso che deve essere necessariamente svolta da un adulto competente. Il rischio è quello di sovrastimare le competenze digitali dei minori, lasciando che imparino da soli. Come confermato da diversi autori (Fogarolo, Tressoldi, 2011) è solo dopo aver insegnato l'utilizzo corretto e consapevole dello strumento, monitorandone l'uso nel tempo, che gli alunni con DSA possono sfruttare efficacemente la tecnologia compensativa.
Leggi tutto...Nella letteratura scientifica vi è abbondanza di ricerche sui disturbi specifici dell'apprendimento e l'impatto che hanno sulle famiglie, così come sono nutriti gli studi che indagano le ripercussioni sui bambini delle crisi tra genitori. Mancano, invece, ricerche che mettano in correlazione difficoltà di apprendimento e crisi familiari, che chiariscano cioè quali siano i riflessi di conflitti coniugali, separazioni e divorzi sulle difficoltà scolastiche dei figli. Questo articolo, pur nella sua brevità, si propone un'esplorazione di tale ambito di indagine.
This article analyses the correlation between certain problems that are generally dealt with separately: in fact, there is no lack of studies concerning specific learning disabilities and difficulties families encounter when dealing with these situations, nor of studies concerning the family crisis and the inevitable repercussions of these crises on children. What is missing in scientific literature are studies that correlate learning disabilities and family crises (marital conflict, separation, divorce, etc.). Actually, studies that explore the quantitative incidence (in percentage terms) of the "family crisis" phenomenon on pupils/students with learning disorders or, academic difficulties, in general, are rare. This article, although brief, is breaking new ground in an attempt to explore the issues on the subject.
Fai login per leggere l'articolo completoLa nuova frontiera con cui la scuola italiana deve imparare a misurarsi sembra essere oggi rappresentata dai Bisogni Educativi Speciali (BES). Si tratta di una definizione che identifica le particolari necessità educativo-didattiche di una popolazione scolastica piuttosto eterogenea: gli alunni con disabilità, quelli con disturbi specifici di apprendimento (DSA) e, recente novità sul piano normativo, coloro che presentano con svantaggio socio-economico, linguistico, culturale.
Se le scuole del nostro Paese si sono misurate ormai da decenni con la prima tipologia di studenti e più recentemente con i DSA (cfr la legge n. 170/2010), mancava dai primi anni Novanta la possibilità di offrire un’attenzione differenziata a quella nutrita e diversificata schiera di alunni che comunque presenta difficoltà di apprendimento rispetto all’insegnamento “standard” offerto nelle nostre classi. Si ricorderà come negli anni Ottanta non fosse infrequente la certificazione ai fini del sostegno per condizioni di “svantaggio socio-culturale”: si andava incontro in questo modo alle necessità di personalizzare l’insegnamento a beneficio di bambini e ragazzi che non rientravano nei parametri clinici per una diagnosi di handicap ma che comunque necessitavano di sostegno durante il loro percorso scolastico. Con l’introduzione della Legge quadro sull’handicap, n. 104/1992 e successive disposizioni, tale possibilità è stata gradualmente preclusa ed ecco che gli alunni con funzionamento intellettivo limite, con instabilità comportamentale ed attentiva, difficoltà visuospaziali e/o della coordinazione motoria, fino alle vere e proprie situazioni di svantaggio ambientale sono rientrati nella “gestione ordinaria” della quotidianità scolastica.
Fai login per leggere l'articolo completoI D.S.A. sono un gruppo eterogeneo di disturbi che si manifestano solamente nell'acquisizione delle abilità scolastiche quali la lettura, la scrittura e il calcolo. La loro caratteristica principale è quindi la specificità: il disturbo riguarda un determinato dominio di abilità in modo significativo ma circoscritto, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale. In particolare la dislessia è una disabilità specifica dell'apprendimento di origine neurobiologica caratterizzata dalla difficoltà di effettuare una lettura accurata e/o fluente e da abilità scadenti nella scrittura e nella decodifica. Queste difficoltà tipicamente derivano da un deficit nella componente fonologica del linguaggio che è spesso inattesa in rapporto alle altre abilità cognitive e alla garanzia di un'adeguata istruzione scolastica.
Fai login per leggere l'articolo completoLa definizione di "sindrome non verbale" è stata introdotta dal neuropsicologo canadese Byron Rourke (1989), sulla base delle sue indagini su "una tipologia di disordini caratterizzata da un forte divario tra, nel punteggio di QI, fra componenti verbali e non verbali" (cfr. Cornoldi et al., 1997).
In precedenza altri avevano studiato i disturbi visuo-spaziali, definendoli come disordini che causano un'erronea stima degli aspetti spaziali dell'esperienza visiva (Benton, 1985), o come una forma di compromissione nella percezione delle relazioni spaziali (Newcombe e Ratcliff, 1989).
Secondo Rourke e collaboratori (cfr. Cornoldi, 1999) la sindrome non-verbale sarebbe caratterizzata da:
Nel 1892, Déjerine descrisse un paziente, Monsieur C., che presentava un quadro clinico sbalorditivo. Mostrava una completa incapacità a leggere le parole e le note musicali, era in grado di identificare le lettere, di copiarle sul palmo della mano e con qualche difficoltà anche su carta; non presentava difficoltà nell’identificazione di numeri ed era in grado di svolgere calcoli aritmetici anche complessi.
Monsieur C. poteva scrivere interi paragrafi sotto dettatura, o anche a memoria, ma non poteva leggere ciò che aveva scritto poco prima.
Senza dubbio presentava una strana forma di disturbo del linguaggio, ma, come definirla e, anzitutto, come poterlo aiutare?
Lo studio dei disturbi specifici dell'apprendimento, è uno dei problemi più rilevanti non solo nell'ambito psicopedagogico, ma anche in quello medico-pediatrico.
Molteplici discipline, affrontano il problema, da approcci diversi e spesso scarsamente intercomunicanti (Lerner 1971). Ne deriva un'evidente eterogeneità nelle ricerche e quindi, una definizione incerta del problema, sia in campo eziologico, che riabilitativo. L'aspetto probabilmente meno approfondito dai ricercatori, è quello che riguarda i correlati comportamentali dei soggetti dislessici.
L'articolo si propone di fornire spunti teorici e metodologici per migliorare la relazione educativa con i bambini iperattivi, al fine di aiutarli a svolgere i compiti scolastici.
Si presenteranno alcune strategie educative di matrice cognitivo-comportamentale, integrate con esempi pratici ed ipotesi di lavoro, per entrare in relazione con i bambini iperattivi al fine di migliorarne le prestazioni attentive.
La scuola rappresenta una comunità allargata nella quale i ragazzi interagiscono con i coetanei ed imparano a stabilire rapporti importanti per la loro crescita personale, al di fuori della famiglia.
Durante l’adolescenza le relazioni si fanno più complesse ed intervengono in maniera più determinante le dinamiche proprie dei gruppi.
Guardavo il telegiornale e il servizio che andava in onda parlava di scuola, di studenti, di bullismo. Un telefonino aveva ripreso tutta la scena, il bullo che dall’ultimo banco scagliava un astuccio all’indirizzo della professoressa che stava scrivendo alla lavagna, colpendola alla nuca. Gli altri alunni seduti immobili come se nulla fosse accaduto, mentre l’insegnante in lacrime fuggiva dalla stanza.
Fai login per leggere l'articolo completoLa società si presenta oggi come un sistema fortemente complesso e dinamico, all’interno del quale si creano nuovi attori che generano nuovi conflitti, che negli ultimi decenni sembrano assumere nuove forme che interessano la qualità della vita, l’identità sociale, il successo individuale; si tratta di conflitti che derivano da un modo di vivere sempre più articolato e collettivo, e che per la loro regolazione richiedono nuovi modelli di gestione dei conflitti, “più consensuali, basati sulla conciliazione e sulla comunicazione piuttosto che sulla sanzione o sulla compensazione” (Di Rosa R., 2002, p.23), al fine di poter risolvere un problema nato tra individui che devono continuare a vivere nel medesimo contesto.
Fai login per leggere l'articolo completoIl Counseling è una particolare forma di relazione d’aiuto centrata sulla relazione tra un cliente che vive delle difficoltà e il consuelor, al quale si rivolge e che, grazie alla propria esperienza e preparazione, è in grado di aiutarlo ad attivare le proprie risorse per trovare una soluzione o attivare un processo di cambiamento. Il rapporto di consulenza è limitato nel tempo e generalmente relativo a uno specifico problema.
Fai login per leggere l'articolo completoNel mio libro "Diario scolastico. Le vicissitudini di un insegnante in una scuola ‘a rischio’ di Napoli", descrivo cosa vuol dire insegnare in una scuola "a rischio".
Questo termine è stato introdotto nel contratto nazionale di lavoro degli insegnanti del 26/5/1999 e indicava "le scuole collocate in aree a rischio di devianza sociale e criminalità minorile, caratterizzate da dispersione scolastica sensibilmente superiore alla media nazionale" (art. 4 del Contratto integrativo del 31 agosto 1999).
«I disturbi specifici di apprendimento (learning disabilities) costituiscono un termine di carattere generale che si riferisce a un gruppo eterogeneo di disordini che si manifestano con significative difficoltà nell’acquisizione e uso di abilità di comprensione del linguaggio orale, espressione linguistica, lettura, scrittura, ragionamento o matematica.
Fai login per leggere l'articolo completoUn numero considerevole di alunni della scuola di base presenta problemi di apprendimento che incidono in modo rilevante sul rendimento nelle varie discipline, causando spesso un vero e proprio disadattamento scolastico.
Numerosi studi e ricerche effettuati nel corso di questi ultimi anni hanno infatti posto in evidenza che oltre il 20% della popolazione scolastica presenta rallentamenti nei processi di apprendimento che richiedono interventi individualizzati.
Gianni è un ragazzo di tredici anni, mi è presentato in via formale dal neuropsichiatra infantile di riferimento, che mi consegna le dimissioni redatte al termine di un day hospital presso un Istituto scientifico di diagnosi e cura, nelle quali è delineato il seguente quadro clinico:
“Disturbo specifico degli apprendimenti scolastici in soggetto con ritardo mentale di grado medio-lieve.
Nel corso della mia esperienza lavorativa come educatrice mi sono spesso trovata a confronto con ragazzini che manifestavano, con modalità diverse, problematiche relative alla loro esperienza scolastica e che si esprimevano sostanzialmente in un vissuto di disagio che spesso interessava anche altri ambiti di vita del ragazzo. Motivazioni e intrecci causali si rivelano spesso difficili da definire in maniera lineare, le variabili in gioco sono sempre molteplici, alcune legate alle caratteristiche e alla storia personale del ragazzo, altre di natura interna all’istituzione scolastica, altre ancora di tipo socioculturale.
Fai login per leggere l'articolo completoLa scuola è, per definizione, il luogo dell’istruzione, dove si affinano abilità, si sviluppano nuove competenze, si acquisiscono conoscenze e saperi che permetteranno la partecipazione piena alla vita della società, sulla base di una comune identità culturale.
Dopo la famiglia, la scuola rappresenta inoltre il luogo dove bambini e ragazzi passano la maggior parte del loro tempo; è un ambiente educativo, nel quale vi sono operatori qualificati (gli insegnanti) che osservano e si relazionano con gli alunni al fine di promuoverne la crescita integrale. Un altro elemento da considerare è la marcata strutturazione del tempo scolastico: la scansione rigida di orari, spazi, attività richiede a bambini e ragazzi uno sforzo notevole di adattamento.
Con eccessiva approssimazione si trattano, talvolta, le difficoltà che bambini e ragazzi incontrano nel loro percorso di studi. Così ritardi, lentezze, immaturità, disturbi dell’apprendimento, problemi di adattamento o di comportamento vengono confusi tra loro o definiti in modo inappropriato.
In questo breve articolo ci proponiamo di fare un po’ di chiarezza intorno a questi temi, senza alcuna pretesa di esaustività, con la convinzione che una corretta definizione delle difficoltà sia alla base di ogni efficace intervento di aiuto.
Fai login per leggere l'articolo completo"Suo figlio avrebbe capacità, ma non le sfrutta". Un ritornello consueto per molti genitori, di questi tempi alle prese con il faticoso avvio di un nuovo anno scolastico, di fronte al quale spesso non trovano di meglio che spronare i propri ragazzi alla maggiore applicazione, prospettando alettanti ricompense o severe minacce.
In realtà, nell'ambito psicopedagogico, si sta approfondendo lo studio e la comprensione di quei bambini, ragazzi o giovani il cui rendimento scolastico è inferiore a quanto ci si potrebbe aspettare dalle loro abilità.
Storia di un incontro, di un contatto, di una crescita personale nella relazione di aiuto alla propria comunità
Se un assistente sociale organizza l'aiuto attraverso i volontari, questo non è solo un modo particolare tra i tanti possibili, per realizzare l'assistenza o la riparazione rispetto ai deficit conclamati di questa o di quella persona. Si produce, come valore aggiunto, lo sviluppo di benessere (autorealizzazione) così come lo sviluppo di attitudini e abilità di cura (eterorealizzazione) nei volontari stessi […] ciò che il volontario apprende nei contesti in cui offre il suo servizio lo può poi riportare nella propria vita quotidiana, nella famiglia, nel lavoro e così via, quindi con benefici indiretti e diffusi nella società intera.
Fabio Folgheraiter