- Categoria: Intercultura e scuola
- Scritto da Bina Madeo
Insegnare in Camerun, un mosaico di ricchezze - Terza parte
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Il Cameroun è un paese bilingue. Dopo la sconfitta dei tedeschi nella prima guerra mondiale le colonie tedesche passarono alla Gran Bretagna e alla Francia. Infatti, tutti parlano alla perfezione inglese e francese. La cultura africana è apparsa subito ancestrale, variopinta, calda, a tratti difficilmente condivisibile: presenza di paesaggi incontaminati fantastici, accoglienza e solarità della gente, rinnovato apprezzamento della semplicità, profondo amore per il sapere.
Meravigliati e increduli per aver voluto condividere con loro la mia esperienza di conoscenza e di condivisione con un altro popolo, gli studenti sono stati tutti molto motivati a studiare la lingua e la cultura italiana (arte, cinema, opera lirica). Al centro delle attività didattiche proposte ho posto ogni studente con tutte le sue peculiarità manifeste.
Attraverso il percorso umanistico – affettivo che valorizza lo studente, la sua storia e le sue competenze, ho creduto non tanto di insegnare una lingua, ma di insegnare una lingua ad ognuno di loro, ad una persona. Un metodo nuovo e rivoluzionario per il gruppo, abituati ad un approccio strutturale che privilegia la produzione di risposte linguistiche a stimoli precisi, stimolando poco la loro creatività.
Molti studenti arrivano almeno un’ora prima. Prestissimo! Ma, questo, forse, dipende dal sole che sorge invariabilmente ogni giorno intorno alle 6,00 e tramonta intorno alle 18,00. Siamo vicinissimi all’equatore del resto.
Andre, timido e riservato, arriva sempre alle 8,00 del mattino. Entra all’interno del cortile della sede de Vice Province Coeur de Jésus et de Marie – Soeurs Filles du Sacré-Coeur de Jeésus e aspetta all’interno di una piccola pagoda circolare in cemento dove è affissa una piccola lavagna. Colora, disegna e scrive per passare il tempo. Scrive in italiano e in francese. Scrive e traccia alcuni pensieri dei suoi giorni di frequenza al corso; rielabora attraverso la scrittura ciò che sente con autenticità e semplicità. Lo osservo dalla finestra della sala con grande rispetto. Mi vede e mi saluta: "Buon giorno Bina. Come tu stai?" e mi fa segno di scendere e di raggiungerlo. "Buon giorno a te mio caro Andre. Spero che tu abbia dormito bene", rispondo subito! Arrivata nel cortile, Andre mi invita a leggere i suoi pensieri e mi autorizza a fotografare il suo scritto come testimonianza dei suoi passi da giganti nello studio della lingua italiana. Mi congratulo con lui. Quella mattina la nostra lezione di italiano verrà svolta nel cortile all’interno della pagoda, tutti in cerchio.
Un giorno osservavo i miei studenti nella pausa, dopo tre ore di mattina, in attesa della sessione pomeridiana. Alle 17,00 quasi alla fine della lezione, pensavo: saranno stanchi? Invece no! Una parte prende e va a giocare una partita di calcio in un posto che chiamano “stadio”. Un campo di polvere rossa per capirci. Un’altra parte va a fare lo “sport”. Vado a vedere. Quando inizia la partita c’è una partecipazione da finale del campionato del mondo. Sono belli e belle, caldi e calde, sudati e sudate. Il sole picchia, ma loro si allenano. Altri, invece, rimangono per l’elaborazione e le prove dei testi teatrali che rappresenteranno in occasione della consegna degli attesti di frequenza del corso di italiano.
Uscendo dalla scuola ne incrocio qualcuno sul marciapiede. Mi sorride, come fanno sempre. Come mi hanno accolto! Mi saluta: “Ciao, blanche!” Per Crèpin e Leslie, amici da sempre, sono “Bina, la professora blanche!”. In tutto il quartiere, infatti, vengo chiamata “la blanche, la blanche”.
Tutto scorre con grande serenità. Il tempo, infatti, è un altro aspetto molto importante della vita africana. C'è un modo di dire che un giorno, durante la lezione, i miei studenti mi hanno insegnato e che esprime bene, a parer mio, il concetto: "qui in Africa non abbiamo orologi perché Dio li ha regalati ai bianchi, ma abbiamo, invece, il tempo". Tutto, infatti, è diluito come in un bicchiere d'acqua. E' come vivere in una dimensione liquida, fluida in un fiume placido dove tutto scorre. Le ore del mattino sono quelle con la temperatura migliore per fare, lavorare, organizzare. Prima che arrivi la luce del mezzogiorno. Tutta la giornata degli camerunensi è scandita da ritmi naturali, più lenti, certo, dei nostri. Ma il tempo, anche se non si guarda l'orologio, viene seguito.