Con Decreto n. 182 del 29/12/2020, il Ministero dell'Istruzione ha introdotto i modelli di PEI nazionali che devono essere adottati nell'anno scolastico in partenza.
Dopo la positiva partecipazione delle edizioni precedenti, Educare.it propone un nuovo corso a distanza condotto dai proff. Lascioli e Pasqualotto dell'Università di Verona, autori del manuale Il Piano Educativo Individualizzato, aggiornato ai nuovi modelli nazionali di PEI (leggi un'anteprima).
Durante la formazione saranno illustrati i principi dell'approccio biopsicosociale che caratterizza il PEI, gli strumenti per l'osservazione sistematica degli alunni che consentono di ricavare i contenuti principali richiesti dal PEI ministeriale, grazie anche al supporto informatico messo a disposizione gratuitamente dall'Università di Verona.Inoltre saranno forniti esempi di compilazione delle diverse sezioni del PEI.
Al termine è rilasciato un attestato di partecipazione di 15 ore. In allegato il programma del corso.
Uomini e donne non sono uguali nei sintomi, nell'incidenza e nella risposta alle cure di diverse malattie. È il tema di cui occupa la medicina di genere che analizza anche pregiudizi e generalizzazioni legate alle patologie, anche quelle cerebrali. Lo sa bene la neuroscienziata Antonella Santuccione Chadha, che cinque anni fa ha fondato in Svizzera il "Women's Brain Project", un'organizzazione non-profit che con un team internazionale di ricercatori studia le malattie della mente e l'accesso alla medicina di precisione, con particolare riguardo a come e quanto i fattori di sesso e di genere influenzano la salute mentale.
Nell’Ottocento, quando l’impulso capitalista portò alla nascita della maggior parte delle moderne professioni o produsse le basi e i bisogni sociali affinché altre emergessero nel secolo successivo (come è accaduto per la professione educativa in senso stretto), le professioni europee erano caratterizzate dal costituirsi come “un club di gentiluomini”. In questo club, tuttavia, non erano ammesse le donne per via di una regola implicita scaturita da una tradizione millenaria (Malatesta, 2006). Oggi molto è cambiato da allora, ma la strada percorsa dalle donne per accedere al mondo delle professioni è durata mezzo secolo ed è stata tortuosa e piena di ostacoli.
La questione di genere
Le donne che per prime sfidarono l’universo maschile e sfondarono quel muro che per secoli le tenne fuori dal mondo professionale sono passate alla storia con il termine di “pioniere”. Le pioniere lottarono controcorrente, adottarono strategie, furono delle “nomadi” (si spostavano da un’università all’altra, da un paese all’altro in cerca di un riconoscimento accademico) e militarono in quelli che si definivano movimenti emancipazionisti (Malatesta, ibidem). Nell’ambito delle professioni sanitarie e di aiuto, in particolare, la componente femminile incontrò una resistenza inferiore, ma i meccanismi di esclusione adottati dalla casta maschile furono di natura più culturale che istituzionale. È così che «il campo sanitario si strutturò su una gerarchizzazione di genere, relegando le infermiere e le ostetriche in funzioni secondarie» (Malatesta, ibidem, pag. 301-302). Tuttavia, la presenza femminile nel campo dell’assistenza e della cura innescò la scintilla del interesse delle donne per la medicina, fu così che in gran parte dell’Europa essa rappresentò la porta di ingresso delle donne nel club dei professionisti (Malatesta, ibidem). Un caso emblematico nel nostro paese fu Maria Montessori (1870 – 1952), medico e pedagogista, che entrò in ambito universitario grazie ai suoi studi e divenne uno dei pilastri internazionali nel mondo dell’educazione.
La peculiarità della professione educativa
La professione educativa, probabilmente per la funzione di accudimento che la caratterizza, ha sempre manifestato e continua a mostrare una maggiore trazione femminile, alla stregua di molte altre, basti pensare alla professione ostetrica. Non si vuole certo asserire che l'educazione sia una prerogativa esclusivamente femminile o legittimare razionalmente una sorta di relegazione del ruolo sociale femminile a un generico accudimento del prossimo. Dl'atra parte, è innegabile che vi siano settori professionali prevalentemente occupati dagli uomini ed altri dalle donne.
A tal proposito, si riportano i dati raccolti dal Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea nell’anno di indagine 2020 relativi alla disparità di genere tra i laureati presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” (Uniba). Il campione preso in esame consta di 154 intervistati per il Corso di Laurea in Scienze dell’educazione e della formazione L-19 e 17 intervistati per il Corso di Laurea in Educazione professionale L-SNT2 (quest’ultimo è un CdL con accesso a numero programmato, dove il numero di posti messi a disposizione dalle università viene definito in sede di Conferenza Stato-Regioni in relazione alle stime del fabbisogno di professionisti sul territorio; ciò spiega l’esiguo numero di intervistati e laureati) (Nota Miur, 2017).
I dati riportati nella Tabella 1 e rappresentati graficamente confermano la forte spinta femminile della professione educativa, specie per quanto concerne il dato relativo ai laureati del Corso di Laurea in Scienze dell’educazione e della formazione. Più attenuato, ma ugualmente significativo, è invece il dato scaturito dalla medesima indagine condotta da AlmaLaurea sui laureati del Corso di Laurea in Educazione professionale (afferente alla Scuola di Medicina e quindi al panorama delle professioni sanitarie della riabilitazione) nello stesso ateneo.
Corso di Laurea
Educazione professionale L-SNT2
Scienze dell'educazione e della formazione L-19
Percentuale laureati
18,20%
5,10%
Percentuale laureate
81,80%
94,90%
Tabella 1 – Percentuale laureati e laureate a confronto, anno d’indagine 2020, Uniba (www.almalaurea.it)
La questione di genere incide anche nella retribuzione. Sempre dalle analisi condotte da AlmaLaurea nell’anno di indagine 2020 tra i laureati presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” proposti in Tabella 2 e rappresentati graficamente, gli uomini hanno una retribuzione mensile netta (in euro) mediamente più alta. Il dato relativo agli educatori professionali socio-sanitari (laureati in Educazione professionale) è decisamente più attenuato (con una differenza di poco più di cento euro tra educatrici e educatori) rispetto al dato rilevato, invece, tra gli educatori professionali socio-pedagogici (laureati in Scienze dell’educazione e della formazione), dove la differenza nella retribuzione mensile netta tra uomini e donne raggiunge circa i quattrocento euro. Ebbene, qualora non fosse già stato fatto, sarebbe interessante, nell’ottica di futuri eventuali approfondimenti della ricerca sociale in merito al tema, indagare su scala nazionale la ragione, o la conferma o disconferma, di tale disparità, soprattutto alla luce della numerosa e preponderante presenza femminile tra le fila dei professionisti dell’educazione italiani.
Corso di Laurea
Educazione professionale L-SNT2
Scienze dell'educazione e della formazione L-19
Retribuzione mensile netta uomini (€)
1251
1188
Retribuzione mensile netta donne (€)
1145
789
Tabella 2 – Retribuzione mensile netta uomini e donne a confronto, anno d’indagine 2020, Uniba (www.almalaurea.it)
Riferimenti bibliografici e sitografici
Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea. Reperibile all’indirizzo: www.almalaurea.it. Consultato 12 Luglio 2020, s. l.
Malatesta M., Professionisti e gentiluomini. Storia delle professioni nell'Europa contemporanea, Einaudi, Torino, 2006.
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Professioni sanitarie: i posti per le immatricolazioni? Nota del 7 Luglio 2017.
Autore: Roberto Di Luzio, educatore professionale socio-sanitario e Dottore magistrale in Management pubblico e dei sistemi socio-sanitari, opera da anni nell'ambito della riabilitazione e della valorizzazione delle divers-abilità con adulti e minori.
Possiamo definire l’emozione come uno stato mentale che viene elicitato da un input che può essere interiore o ambientale e che ha i suoi riverberi sulla psicofisiologia corporea, modificandone il funzionamento. L’emozione è un costrutto multidimensionale: infatti, nell’emozione possiamo riconoscere una dimensione psicofisiologica, una cognitiva, una motivazionale, una espressivo - comunicativa e una sociale. A livello fisiologico, l’emozione, come detto, dà origine a delle variazioni corporee, che sono la conseguenza dell’attivazione del sistema nervoso centrale e periferico. Dal punto di vista cognitivo, l’emozione elicita la nascita di pensieri che sono sintonici con l’emozione provata. L’emozione, inoltre, ha un polo motivazionale, che è legato alle cognizioni prodotte. In pratica, allorquando l’emozione provata fa nascere una serie di pensieri che inducono uno stato di benessere, l’individuo è motivato a farla persistere. L’emozione ha una componente espressivo - comunicativa, che solitamente viene espressa con il linguaggio del corpo: difatti, le nostre espressioni facciali e la gestualità corporea assumono, a esempio, modalità differenti a seconda di quale emozione proviamo (gioia, tristezza ecc.). L’emozione ha una dimensione sociale, in quanto sovente l’input ambientale che l’ha determinata risiede proprio nelle interazioni sociali e al contempo l’emozione provata si riflette sulla relazionalità sociale.