Educare.it - Rivista open access sui temi dell'educazione - Anno XXIV, n. 9 - Settembre 2024

Vivere di scuola

Un po’ di Cuore a scuola non fa male

cuoreLa prima volta che ho letto il libro Cuore avevo otto anni: era il regalo della mia maestra per la Prima Comunione. Lei sembrava proprio nata dalla penna di Edmondo De Amicis, perché era buona e paziente, aveva un modo pacato di rapportarsi con noi alunne, che considerava delle figlie, visto che lei non aveva provato la gioia della maternità , ma soprattutto perché era capace di infondere quei buoni sentimenti che non passano mai di moda.

Il racconto di Enrico, il protagonista del libro Cuore, mi appassionava e mi catapultava in una scuola in cui si esaltavano i valori della famiglia, della patria, del rispetto e della solidarietà. Eppure, anche allora non mancavano le criticità: invidia, superbia, reiterati atti vessatori nei confronti di coetanei, che oggi definiremmo “bullismo”, ma c’era il mondo degli adulti pronto a redarguire, a insegnare, a dimostrare, con l’esempio, la sua autorevole capacità di indirizzare le menti dei bambini verso finalità positive.

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Pratiche di empowerment nella Scuola Secondaria di II°Grado

studentiEducatori, insegnanti, genitori sono sempre più in difficoltà nell’inquadrare da un punto di vista pedagogico questa nuova generazione di adolescenti. L’unica certezza degli addetti ai lavori è nell’evidenziare un’intrinseca fragilità sia a scuola che negli ambienti dell’educazione non formale. Se questo tratto dei giovanissimi è innegabile, troppo spesso chi si occupa di educazione trascura di fornire antidoti alla noia, stimoli e progettualità utili a rafforzare autostima e senso di autoefficacia. Da questo avvio la riflessione, riassunta in questo articolo, che scaturisce da tanti anni di esperienza come educatore e insegnante nelle scuole secondarie superiori.

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  • Scritto da Laura Alberico
  • Categoria: Vivere di Scuola

Gli esami non finiscono mai

esamiQuesta volta ero dall'altra parte, seduta tra gli alunni e i genitori. Sono in pensione ma ho voluto, nonostante tutto, essere presente agli esami dei ragazzi ai quali ho insegnato per due anni. Ho cercato di vivere le emozioni assieme a loro, guardando con occhi diversi la realtà di un passaggio obbligato e comunque necessario, il momento in cui le domande diventano, come per incanto, un ponte di comunicazione tra il prima e il dopo, il passato e il futuro.

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  • Scritto da Laura Alberico
  • Categoria: Vivere di Scuola

I ragazzi con il cappuccio in testa

imgEntrano in classe come se dovessero coprirsi dalle intemperie, guardano dritto senza salutare l'insegnante e si siedono al loro banco aspettando chissà cosa. Ogni giorno questi ragazzi mi sfidano, mettendo a dura prova la mia pazienza, rifiutando ogni forma di interazione e di accoglienza. Passano le ore in uno stato di letargia o iperattività, con lo sguardo assonnato o in preda a un meccanismo di instabilità motoria che li porta a girovagare per la classe come se dovessero misurare il tempo e lo spazio della loro dimensione. Sono i cosiddetti ragazzi “difficili”, termine generico e non sempre definito che accomuna i disadattati che non riescono a trovare nell'istituzione e nel gruppo scolastico il senso di integrazione e di appartenenza.

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